La selezione di Venice Immersive 2022 si distingue per la particolare attenzione prestata ai “mondi” virtuali visitabili sulla piattaforma social VRChat, dove tra l’altro si era svolta totalmente online l’edizione scorsa di Venice VR Expanded. Ma di che cosa si tratta esattamente?
L’applicazione, il cui primo prototipo risale al 2014, inizia ad essere commercializzata su larga scala solo nel 2017. Il successo che sta riscuotendo è dovuto alla grande libertà di movimento dei suoi utenti: indossando il visore possiamo muoverci ed incontrarci in spazi virtuali e attraverso il nostro avatar interagire in modo intuitivo con le altre persone. La piattaforma consente inoltre di caricare nel suo database mondi creati e implementati altrove, per permettere un ventaglio pressoché infinito di design e azioni. In questo vero e proprio metaverso, si possono quindi trovare luoghi d’incontro, bar, ristoranti, stadi, città – simili a quelli in cui ci imbatteremmo nella vita “vera” – ma anche progettare vere e proprie esperienze.
Sono proprio gli ambienti più originali e creativi ad essere valorizzati nella cornice della Mostra di Venezia, che presenta cinque mondi nella competizione ufficiale, insieme ad altri trenta fuori concorso. Per i novizi di VRChat, visitare i mondi al Lazzaretto Vecchio è un’esperienza speciale, radicalmente diversa dalla fruizione “solitaria” della maggior parte delle opere VR della selezione. Una volta indossato il casco, siamo accolti dalla nostra guida, spesso accompagnata dal creatore del mondo, in un rendering della città di Venezia: qui abbiamo modo di impratichirci con la navigazione di VRChat, di imparare a “camminare”, e aspettiamo di essere raggiunti da altri utenti. Formato un piccolo gruppo, si accede al mondo tramite un portale: inizia l’esplorazione.
Ecco, quindi, una selezione dei mondi più interessanti di questa sezione del concorso.
Namuanki di Kevin Mack
Kevin Mack, artista VR e già premio Oscar per gli effetti speciali di Al di là dei sogni (1998), ci porta alla scoperta della sua ultima creazione VR, Namuanki. Il mondo è costruito grazie ad una combinazione di algoritmi procedurali e generativi, che consentono uno sviluppo potenzialmente infinito dell’universo, e di interventi diretti del designer. Mack ci trasporta in un lontano futuro, una realtà alternativa resa possibile dai nostri antichi progenitori, divinità potenti e benevole. Siamo immersi in un paesaggio costiero che possiamo esplorare in tutte le direzioni, nuotando nelle profondità marine, scalando i rilievi, scoprendo le grotte e i vulcani ipogei. Namuanki è pensato come un luogo di meditazione e, perché no, rivelazione: avvicinandoci alle strane creature divine che lo abitano, che somigliano a funghi e coralli, ciascun visitatore accede ad una visione personale ed unica, sempre diversa e inaccessibile agli altri utenti, generata da questo algoritmo mistico.
Uncanny Alley di Rick Treweek
Con Uncanny Alley di Rick Treweek siamo trasportati in un futuro cyberpunk per riflettere sulla situazione attuale dei mondi virtuali. Seguiamo la nostra guida alla ricerca di Gh0st, un hacker che ha tentato di sottrarre il metaverso al monopolio delle Big Tech, dando forma ad un vero Metaverso aperto. Una volta vestiti i panni di uno degli abitanti del mondo (possiamo essere cyborg reietti, animali geneticamente modificati o piccolissimi alieni) ci addentriamo in un dedalo urbano costellato di indizi che alla fine ci conducono al ricercato, che troviamo per ironia della sorte proprio rinchiuso in uno schermo bidimensionale. Come a dire che questo futuro che ci appariva molto lontano al tempo di Blade Runner è il presente della maggior parte delle nostre interazioni online. Abbondano i riferimenti cinematografici e letterari alle prefigurazioni del metaverso, dal romanzo cyberpunk Snow Crash di Neal Stephenson al Ready Player One di Steven Spielberg.
Typeman di Keisuke Itoh
Typeman di Keisuke Itoh assomiglia più ad un’esperienza che ad un “mondo” vero e proprio. Nella sua originalità, è forse l’opera più bella dell’intera sezione, una riflessione davvero coinvolgente sull’impatto della digitalizzazione sui rapporti umani. Si tratta a tutti gli effetti una performance teatrale senza quarta parete: lo stretto numero di partecipanti si raccoglie intorno al protagonista Typeman, una figura che indossa un completo d’altri tempi e ha come testa una vecchia macchina da scrivere. Il suo corpo è animato da un performer collegato dal Giappone attraverso una tuta di body-tracking, che consente una resa estremamente fluida dei suoi movimenti. Avvertiamo intensamente la sua presenza, man mano che ci guida all’esplorazione di quadretti che rappresentano alcune tappe del nostro rapporto con la scrittura meccanizzata: dalla macchina da scrivere analogica, usata per battere lettere d’amore “scaldacuore” o appassionati reportage giornalistici, si arriva alla tastiera del computer che al contrario costringe le persone all’isolamento di fronte alle luci fredde dei monitor. L’epilogo pieno di speranza coinvolge tutti i partecipanti, orchestrati sempre da Typeman, che ci invita a danzare e a suonare gli strumenti del nostro passato analogico: i tasti della macchina da scrivere, insieme alla radio e al grammofono.