Anche ai margini di una discarica, dove il ricco Occidente seppellisce tastiere e carcasse di computer, manufatti-simbolo di un progresso sempre più patologico, può riaccendersi la speranza.
Siamo nel sobborgo di una città della Tanzania. Alias è un adolescente albino che dopo aver assistito al brutale omicidio del padre, viene affidato dalla madre allo zio Kosmos, camionista di poche parole che sbarca il lunario con piccoli lavoretti lungo le strade. Insieme ad Alias, a raccogliere paccottiglia tecnologica, c'è anche la cuginetta Antoniette. Lui trova un cellulare arrugginito e, fingendo che funzioni ancora, dichiara a un interlocutore immaginario il suo delicato e tenero amore per la piccola compagna di scorribande. Lei dapprima è infastidita, poi si presta al gioco, afferra il telefono e dice: “Sì, lo so è un idiota ma a me va bene così”. E' una delle più belle sequenze di White Shadow, opera prima presentata alla Settimana della Critica, firmata da Noaz Deshe, artista e filmmaker israeliano che vive tra Berlino e Los Angeles.
Alias, a dire il vero, non avrebbe nessun motivo di sperare. E neppure di scherzare. A quelli come lui, in paesi come la Tanzania, il Kenya, il Congo, viene strappato il cuore. Sono gli stregoni, per ignoranza e superstizione, a ordinare i massacri. Così hanno fatto con suo padre. Con tanti del suo villaggio. Per mettersi in salvo, Alias dovrà affrontare un durissimo apprendistato alla vita.
A dispetto di un soggetto così difficile da affrontare, che avrebbe fatto dubitare anche l'esordiente più sprovveduto - tra i produttori figurano anche l'amico Ryan Gosling e l'italiana Asmara Films - Deshe dirige un'opera di eccezionale forza espressiva, che desta impressione. Sorprende, in particolare, la sua capacità di modulare lo sguardo in accordo allo spaccato di realtà che ha deciso di rappresentare. A cui ha inteso dare voce. Già, perché Deshe era impegnato in tutt'altro progetto quando ha scoperto l'esistenza della tratta degli albini e la spirale di omicidi e violenza che genera. Ha mollato tutto e ha girato questo film crudo e al contempo poetico, animato da una inquietudine struggente.
Allo spettatore sfuggono non pochi dettagli della storia ma l'effetto è voluto: Alias è confuso quanto noi dinanzi a tanto orrore, a tanta disperazione. Ma abbiamo imparato a condividere le sue sofferenze. A vederlo correre in mezzo alla foresta. A cospargersi con il terriccio umido per mimetizzarsi nel buio. Non vuole essere più un'ombra bianca. E noi sappiamo che ce la farà.