Ti senti bene? Sì. Sei felice? Sì. Ti senti amato? Sì.
Queste sono solo alcune delle domande fatte a un ragazzo sul lettino di un ospedale. Ad un certo punto la serie di quesiti viene interrotta bruscamente dal un cartello nero con una scritta bianca: «35 minuti e 270 domande dopo». È un dettaglio – semplicissimo, apparentemente marginale, ma al contempo spiazzante – che arriva a pochi secondi dai titoli di coda e che racchiude perfettamente lo spirito del lungometraggio d’esordio di Jorge Cuchí.
Lo spettatore sa che Félix, il ragazzo di 17 anni chiamato a rispondere, non è stato sincero in nessuna delle repliche alle domande dello psicologo. Eppure quest’ultimo, dopo aver completato tutte le pagine del suo questionario, sembra lasciare la stanza con l’espressione di chi ha capito tutto. 50 (o dos ballenas se encuentran en la playa) racconta invece come certe situazioni, atteggiamenti, reazioni o pensieri a volte siano difficilissimi da comprendere e ancor più da accettare.
Protagonisti del film sono Félix ed Elisa, due ragazzi che decidono di giocare e completare fianco a fianco le sfide della Blue Whale Challenge, un percorso di 50 prove in altrettanti giorni, progressivamente sempre più estremo che si conclude con il suicidio del partecipante. È la storia d’amore di due adolescenti con tendenze suicide che decidono di giocare insieme fino alla fine. Due oggetti estranei, affini in un sentimento di inadeguatezza e insofferenza per ciò che li circonda. Quello che si snoda è la messa in scena di un patto estremo, la raffigurazione di una fiducia reciproca – quasi sottintesa per quanto inamovibile e inattaccabile – che rafforza la convinzione di entrambi i protagonisti che la strada intrapresa sia l’unica percorribile. Un rapporto così convinto e convincente da rendere da un certo punto di vista accettabile la loro scelta o, se non altro, da non mettere mai lo spettatore nella condizione di salire su un piedistallo per giudicare la situazione.
Nonostante rappresenti un lungo e durissimo percorso verso il suicidio, 50 rimane distaccato e neutrale grazie a una regia che intelligentemente non si lascia mai coinvolgere emotivamente da quel che sta filmando. Jorge Cuchí mantiene lo spettatore alla distanza più funzionale per osservare la dimensione quasi aliena in cui si muovono i personaggi, annullando ogni possibilità d’intervento nel loro percorso.
L’utilizzo ricorrente dello split screen ricrea perfettamente l’idea di un universo a sé, condiviso solo dai protagonisti: una bolla impermeabile al mondo esterno che unisce Elisa e Félix ed esclude fuori campo tutto il resto. Eppure, nonostante questo nichilismo di fondo e l’assenza di giustificazioni rassicuranti per accettare in modo più razionale un percorso così complesso, quel che alla fine resta è la forza di un sentimento capace di superare ogni logica. E che sia l’amore l’unico sentimento a perdurare, al termine di un percorso assistito verso suicidio, è di certo una scelta che lascia senza parole.