Beh… boh… ecco... 50 primavere è un po’ quel tipo di film su cui non si sa bene cosa dire. Una commedia piuttosto intelligente, scritta bene, anche se un po’ meccanicamente, intorno alla sua protagonista. Agnès Jaoui in Francia è un’istituzione, per il sodalizio artistico e sentimentale con l’ex marito Jean-Pierre Bacri, per la carriera poliedrica e i tanti film interpretati, scritti e diretti che l’hanno resa un volto arcinoto al pubblico; in Italia, invece, nonostante il successo del lontano Il gusto degli altri, la sua presenza non basterà a determinare il successo di questa commedia che nel originale porta il nome della sua protagonista: Aurore. Una donna alle prese con la menopausa, con due figlie che crescono (una delle quali incinta), la ricerca di un lavoro, un ex marito amico e un primo amore ritrovato (forse). Molto femminile ma non seduttiva, bella ma non perfetta, autonoma ma sempre insicura, senza particolari doti (eccetto quella di indovinare all’istante il numero di lettere di cui si compongono le parole), ma con “quel non so che” che la rende affascinante. Una donna incasinata, normale.
Tra scenette e gag più o meno brillanti, c’è un momento rivelatore. Aurore ha da poco iniziato a lavorare come colf in una casa in cui convive un gruppo di donne attempate che si sono messe insieme, condividendo pensioni, esperienze, tempo e trovando cosi un antidoto comunitario alla solitudine e all’inoperatività della vecchiaia. La tv è accesa, una studiosa sta spiegando il significato di due stampe della fine dell’800 che rappresentano la visione dei rapporti tra i sessi nelle società occidentali. Si tratta in pratica di una scala ascendente e discendente che raffigura le età della vita per gli uomini da una parte e per le donne dall’altra. L’uomo su ogni gradino è sempre solo (tranne che a venti e trent’anni quando ha accanto una giovane moglie prima senza e poi con un neonato) e a cinquant’anni è sereno, allarga le braccia come ad abbracciare il passato ma anche il futuro, è pacificato e affronta il declino con coraggio. La donna è invece sola soltanto a dieci anni; nelle altre età ha sempre un uomo di fianco e dopo i cinquant’anni quando smette di essere produttiva, inizia il suo declino finendo per morire non senza paura, come l’uomo, ma senza coraggio.
Qui arriva dritto (anche se in modo proprio troppo didascalico) il senso del film, la parte apprezzabile di questa commedia, quella di offrire un racconto tutto al femminile senza demonizzazione degli uomini. Blandine Lenoir mette in scena una specie di società matriarcale in cui le donne non si bastano affatto, ma attraverso la consapevolezza hanno la possibilità di trovare una propria via per affrontare le diverse fasi della vita: dalle prime delusioni della figlia minore di Aurore, alla maternità della maggiore, alla menopausa... Un modello in cui l’uomo o gli uomini fanno parte dell’esperienza e non sono l’esistenza delle donne. Per questo non c’è bisogno di ritratti maschili negativi, di demoni da esorcizzare. Si tratta di persone più o meno necessarie le une alle altre a seconda del momento della vita in cui ci si trova. Persone disposte a starsi vicino in modi diversi, disposte a incrociarsi appena ma anche a perdersi e a ritrovarsi.
50 primavere è insomma un film umano, non imprescindibile certo, gradevole, prevedibile, piuttosto rassicurante, non stupido. Anche se suona un po’ eccessivo (se non blasfemo) spendere un capolavoro politico e civile come Ain’t go no - I got life di Nina Simone come inno alla libertà della normale e incasinata Aurore.
Aurore è separata, ha appena perso il lavoro e scopre che presto diventerà nonna. La società la spinge a farsi gentilmente da parte, ma quando, per un caso, ritrova il suo amore giovanile, Aurore decide di opporre resistenza, rifiutando la rottamazione alla quale sembra destinata. E se fosse il momento di cominciare una nuova vita?