Gli incontri fra cinema e letteratura somigliano a quelli fra due sconosciuti davanti a una porta: una questione di precedenza. Passare per primo garantisce gli onori che la vecchia cultura riserva all’originalità (“era meglio il libro”, il grande classico dello spettatore che esce dal film tratto dal romanzo che ha letto prima), passare per secondo le soddisfazioni interpretative che la nuova cultura regala ad adattamenti, citazioni e giochi intertestuali.
La bellezza di Nocturnal Animals sta nel fatto che cinema e letteratura, per una volta, vanno paralleli, camminano a fianco a fianco, aspettandosi a vicenda. Perché questo avvenga, è necessario però che preliminarmente l’atto della scrittura e della lettura vengano risucchiati dentro lo schermo e fatti oggetto di narrazione.
Ecco quindi che nel film di Tom Ford troviamo la lettura di un romanzo raccontato poi per immagini, con l’intreccio che procede a singhiozzo, interrompendosi ogni volta che la protagonista – gallerista d’arte infelice in amore e sul lavoro – chiude il libro e ricominciando ogni volta che lo riapre. Tra un capitolo e l’altro, siamo spettatori della sua esistenza, un distillato di nevrosi metropolitana e vanità intellettuale alla base del quale sta la scelta di mollare il primo marito, aspirante scrittore senza fortuna, per un uomo ricco e apparentemente affidabile. Il libro che le arriva in casa, e la cui trama vediamo svolgersi davanti a noi, è il regalo postumo del primo consorte, nonché il nesso fra le due storie raccontate dal film. Il romanzo infatti mette in scena una cupa vicenda southern di sangue e vendetta, ambientata in Texas, attraverso la quale il marito scrittore, che del libro è anche protagonista, riscatta e sublima l’immagine di uomo fragile e irrisoluto che aveva in origine indotto la donna a lasciarlo.
La doppia opposizione su cui regge l’intero impianto narrativo e figurativo del film – le algide e raffinate architetture di Los Angeles da una parte, gli spazi fatiscenti e polverosi del Texas dall’altra; su un fronte la vita convenzionale e ovattata di galleristi e intellettuali, sull’altro la brutalità e l’aggressività di predatori famelici e sanguinari – rimanda a quella fra natura e cultura. Certo non nuova per il cinema, ma qui sovrapposta in modo intelligente al rapporto fra immaginario e vita ordinaria.
Infatti qui, un po’ come avveniva in un film solo in apparenza molto distante da questo, Nella casa di Ozon, scrittura e lettura stringono un patto scellerato che mette alle corde la vita quotidiana del(la) protagonista, svelandone i punti ciechi e le zone d’ombra. A partire dalla solitudine, condizione esistenziale prediletta dai romanzi, poiché consente loro di creare col lettore un rapporto di complicità morbosa. Non è un caso che il film di Ford si chiuda proprio su un’immagine di inesorabile solitudine: l’horror vacui di chi, arrivato all’ultima pagina di una vita “altra”, infinitamente più interessante, deve infine rientrare nella propria.
Una gallerista è ossessionata dal romanzo del suo ex-marito, un thriller violento che lei interpreta come una velata minaccia e una simbolica storia di vendetta.