Una scuola elementare norvegese, odore di progressismo e di eccellenza sociale che trasuda dalle pareti: ci si confronta e, al limite, ci si scontra, ma sempre per il meglio. Un preside e due professoresse, lui gonfio d’orgoglio e di preoccupazione, loro agitate per una bomba che sembra sul punto di esplodere. La più esperta sanguina copiosamente dal naso, la più giovane crede di poter gestire in solitaria il caso bollente che si ritrova tra le mani. Sei anni, maledizione, i bambini hanno solo sei anni e le testimonianze parlano di potenziali abusi, odorano di minacce sessuali: nulla di buono da aspettarsi, c’è da convocare i genitori. Armand, si sa, è un bambino problematico, sua madre è un’attrice famosa – un personaggio pubblico – dal carattere incandescente, le minacce del rampollo stavolta sembrano avere lo spettro della concretezza. La vittima è suo cugino, più calmo, più remissivo, forse più succube: i genitori appaiono come la solida coppia di un progressismo scandinavo protettivo al di là di ogni ragionevole minaccia. Lo stato sociale deve mostrare i muscoli o esibire una lungimiranza fatta di paternalismo e comprensione? Deve inseguire la punizione esemplare o nascondersi in un perdono che ha il sapore dell’insabbiamento?
Ormai, da Educazione fisica a La sala professori, il refrain (che, ovviamente, ha obiettivi e risultati diversi) dei genitori convocati a spartire le colpe dei figli – a condividerle, se non a rappresentarne la reificazione principale – da un’istituzione scolastica sempre più asfittica e incerta, sembra divenuto un nuovo genere cinematografico, una nuova forma di processuale in cui le colpe dei genitori, neanche fossimo in una tragedia greca, si impongono e informano le scelte – morali prima ancora della morale – dei figli. In Armand, opera prima (premiata con la Camera d’Or a Cannes) di un nipote d’arte – Halfdan Ullmann Tøndel è nientemeno che il nipote di Ingmar Bergman e di Liv Ullmann – lo schema morale si impone dalle prime immagini per poi confondersi e infine frantumarsi. Le azioni, per quanto pericolose e implacabili, dei ragazzi si sciolgono nelle responsabilità degli adulti. Il dramma da camera – che riguarda i tre docenti, la madre single del presunto colpevole e la coppia genitoriale della vittima annunciata – inquadra da subito idee di colpa e ipotesi di manipolazione. Come in un qualsiasi convenzionale legal drama, si ascoltano le colpe dei singoli e i loro stessi alibi; la cattiveria e l’innocenza, per quanto perduta.
L’orizzonte finale del “non tutto è come sembra” è forse la parte più scontata del film, evoluzione basica di una trama volutamente ridotta all’osso. Armand si configura ben presto come una Via Crucis in cui le colpe sono stazioni di un Calvario da espiare, in cui i fardelli che ogni umano si porta addosso sono le armi non convenzionali di una continua sfida. Ha ragione Federico Gironi, nella sua recensione da Cannes, a sottolineare l’anima urticante del film. Tutti i personaggi sono caricati di una tensione “nera” che sa renderli insopportabili, in qualche modo colpevoli a priori. In Armand si scontrano – coalizzandosi e poi abbandonandosi per coalizzarsi ancora – anime contrapposte. La presunta cristallina purezza di una classe docente che per amor di trasparenza cerca l’insabbiamento; una coppia apparentemente lucida che si perde in respiri di vendetta; una mater dolorosa (Renate Reinsve, al solito magnifica) che, oberata dai sensi di colpa, punta a un’impossibile redenzione.
Armand si rivela un film-trappola, lucido eppure errabondo, teso anche se sfilacciato. Ma è proprio nella sua imperfezione che trova sostanza, è nella sua incertezza che costruisce unità. Suggerisce dubbi per generare certezze, solleva interrogativi per demolire ogni garanzia moraleggiante. Armand è un film a tesi che travalica, non si sa quanto coscientemente, i propri limiti: sa dove vuole andare anche se lo fa a tentoni, non riuscendo a risolvere con la sola forza delle immagini – a tratti confuse, come negli inserti onirici non sempre adeguati – la formula di una materia fin troppo bollente. Un film, in fondo, più affascinante che compiuto, ma che sa di affrontare una zona d’ombra che in fondo riguarda tutti: la costruzione di un futuro che appare più nebuloso di quanto non siamo in grado di disegnare, destinato agli atti, per quanto oltraggiosi, di bambini costretti a crescere nell’ombra di un inaccettabile ingombro.
Poco prima dell’inizio delle vacanze scolastiche, i genitori di Armand e Jon vengono convocati dalla dirigenza scolastica in seguito ad un “fatto” avvenuto tra di loro. Nessuno però sembra in grado di spiegare cosa sia realmente accaduto. Si è trattato di un gioco innocente tra due bambini di sei anni o di qualcosa di molto più serio?