«You may find yourself not at home in your home; and you may find yourself without a beautiful house, without a beautiful wife; and you may ask yourself “Well, how did I get here?”».
Inizia così, con queste parole che parafrasano Once in a Lifetime dei Talking Heads, Aspettando il re di Tom Tykwer: si apre con uno spot in cui il protagonista Alan Clay, un uomo d’affari alla deriva, sembra volerci vendere qualcosa, ma dove oggetti e ambienti svaniscono, uno dopo l’altro, in nubi di fumo colorate. Ha la convinzione del più navigato dei venditori porta a porta, ma, al contempo, è costretto ad abitare uno spazio irreale, virtuale, in cui, di fatto, non ha nulla da vendere.
In effetti, con le sue parole, con la sua allucinata televendita, Alan Clay si sta raccontando e, in un certo senso, sta provando a vendere sé stesso: ha appena divorziato, ha provocato la bancarotta di una società florida, non ha quasi più alcun tipo di legame affettivo, il rapporto con la figlia è tutt'altro che idilliaco e il suo impiego nell'azienda per cui lavora è decisamente precario. Ha un disperato bisogno di rilanciarsi, così, non avendo quasi nulla da perdere, decide di ripartire (quasi) da zero per rimettersi in gioco. Prende un volo per l'Arabia Saudita nel tentativo di concludere con il re uno di quegli affari che valgono una carriera: l'asso nella manica di Alan Clay è un ologramma per il re.
Si ritrova così in quello che per lui è un nuovo mondo, un pianeta alieno, a camminare tra le rovine di una città del futuro, ad aspettare un re che forse nemmeno esiste, a cercare di vendere un marchingegno che smaterializza le persone, senza probabilmente sapere come funziona: è abbastanza chiaro – per le battute con cui il protagonista si presenta, per la scelta degli ambienti alien(ant)i e lo straniamento che si dovrebbe provare di fronte ad alcune situazioni – dove il film di Tom Tykwer voglia andare a parare, su quale sia l’idea di mondo e di condizione umana che vorrebbe mettere in scena.
E non è di certo un caso quindi che a fare da contraltare a questo mondo virtuale, quasi irreale ed inospitale, intangibile e indecifrabile, ci sia un elemento concreto e familiare come il corpo del protagonista; un corpo che fa sentire costantemente la propria presenza, apparendo spesso affaticato, sempre sudatissimo e fuori luogo; un corpo che cade ripetutamente dalle sedie quasi a voler ribadire (inconsciamente) che quello non è un posto adatto a lui. Un corpo che a un certo punto reagisce, facendo comparire spontaneamente un’enorme cisti sulla schiena: un elemento estraneo, ma al tempo stesso presente e minaccioso, capace di rendere inospitale e scomoda ciò che è personale e familiare. Eppure una presenza fisica, estirpabile e guaribile. Un corpo che ha bisogno (ma ha anche la possibilità concreta) di ritrovare la stabilità necessaria per diventare l’unica certezza in un contesto sempre più volatile.
Da questo punto in avanti, Tykwer sceglie di smarcarsi in modo netto, nei toni e nelle idee, dal romanzo d’origine del film, Ologramma per il re di Dave Eggers: laddove il fulcro del testo era un’attesa da teatro dell’assurdo che portava il protagonista a una stramba e consapevole alienazione, il film arriva a una conclusione molto più consolatoria e meno stimolante. Per una condizione umana precaria e senza via d’uscita, viene individuato come unico possibile antidoto o fonte di guarigione il contatto con un altro corpo: quello della persona che rappresenta un rifugio dal mondo e che attraverso il contatto ricorda al protagonista di essere ancora vivo.
Aspettando il re intavola dunque un discorso piuttosto diretto e lineare: nelle battute iniziali, grazie anche a un’indovinata scelta degli ambienti, regala più di qualche stimolo, ma col passare dei minuti finisce con l’incanalarsi nei classici canoni della commedia romantica. In questo senso, anche le (poche) idee interessanti della prima parte non riescono ad aggiungere nulla di originale a un argomento – la spersonalizzazione delle relazioni e l’alienazione fisica nel mondo della virtualità – negli ultimi tempi decisamente inflazionato, finendo per dare a Aspettando il re l’inconsistenza di un ologramma.
Il cinquantenne Alan Clay viene spedito dall'altra parte del pianeta dalla società informatica per la quale lavora, a concludere con il re dell'Arabia Saudita l'affare del secolo.