L'inizio è con i titoli di testa, che appaiono su sfondo nero con font comune, oro e bianco, ed è strano perché oggi non ci sono film con titoli di testa come questi, così scontati, così “vecchi”, e già capisci che Benedetta appartiene a un'altra epoca, a un mondo che sembra non competere a questo, di mondo, ma non perché ambientato a Pescia nel Seicento, no no, perché invece è un film inadeguato, come è sempre stato inadeguato Paul Verhoeven, inadeguato, lui, Verhoeven, ai tempi e ai mercati, e perciò vilipeso e incompreso, sempre, e lui sempre avanti, a scontrarsi e fare guerra con le stesse armi con cui lo si voleva mettere a tacere dopo peraltro averlo lusingato, censura, boicottaggio, critiche feroci, tutta benzina sul fuoco, e tutto a vantaggio di un cinema inviperito eppure sensibilissimo, perché intercettava noi e loro, e anche la società, perché Verhoeven, come d'altronde De Palma, ha sempre capito che parlare la lingua più volgare e sporca, fatta di schizzi e di sberle, significa sfruttare una posizione di privilegio per colpire più bersagli possibile e per giungere a più sguardi possibile, e allora giù di martello, usato come testa d'ariete per sfondare porte sbarrate, le porte di una psicologia sessuofobica alla moda ieri come oggi, e anche le porte del buon senso e del buon gusto, qualità delle quali Verhoeven non ha mai goduto, come Żuławski, un altro che non le mandava a dire, o come Ken Russell, che ha pervicacemente perseguito la politica del bastone, perché questo cinema così grossolano e ineducato, tutto simbolismi e serpenti che neanche Jodorowsky, questo cinema così violento, ma di una violenza esacerbata e fintissima, lavora di rappresentazione grandguignolesca per parlare apertamente, direttamente alla realtà, e parla proprio di noi, di un post-neopuritanesimo delle immagini, e lo fa nello stesso modo con cui Herschell Gordon Lewis voleva scioccare il suo pubblico, dal palcoscenico di una pubblica esibizione, rozza e cafona, colori accesi e teste mozzate, statue-dildo della Madonna di cui sarebbe andata fiera China Blue e comete rosso fuoco, un cinema dunque esposto e ostentato, come una messa in scena di David LaChapelle, che torna alle origini con lussuriosi Cristi in croce come in Il quarto uomo e laidezze da L'amore e il sangue, mentre in verità rinnova Basic Instinct, di cui Benedetta è il vero sequel, perché questa santa lesbica veste gli stessi panni di Catherine Tramell, ci è o ci fa?, è lei o non è lei?, è autentica o un'impostora?, poco importano le risposte, a Verhoeven premeva ieri e preme adesso portare alla luce l'insopportabilità della verità, che esiste e non esiste, tanto è uguale, l'occhio di chi guarda è affetto da un morbo peggiore della cecità, è incredulo e dunque parziale, non è libero, è convinto che i miracoli non possano avvenire tra le lenzuola e invece è proprio lì che nascono la disomogeneità e la libertà, non ci può essere altra fede, e se Verhoeven è ancora a questo punto, cioè a rilanciare di nuovo il credo del suo capolavoro di trent'anni fa, è perché non c'è niente di nuovo, siamo ancora dei miseri predatori di giustezze assurde, e per capirlo, forse non sempre ma sicuramente più volte di quanto siamo disposti ad ammettere, servono anche film come Benedetta, che è sguaiato e triviale ma anche lucido e misericordioso, e nel quale la donna, come sempre nel cinema di questo regista così superbamente smodato, è un simbolo ineguagliabile di perfezione del mistero, con tutte le domande possibili ma – appunto – senza risposte, come è chiaro anche dalla conclusione, no spoiler, e qui arriviamo alla fine, dopo quei titoli di testa così inattuali, una conclusione che non è una resa ma che è l'ennesimo rilancio, l'ennesima forma di inammissibilità dei totem e dei dogmi, dove non c'è pace perché non c'è soluzione, grazie al cielo, e si ricomincia, perché per Paul Verhoeven la Storia si ripete, e anche la storia del cinema, non c'è bellezza più bella, l'assenza di una sosta, l'impossibilità di una conquista decisiva e di un riposo, nella convinzione che i sessi vivano di più facce, nessuna delle quali conserva generalità concordate.
Italia, XVII secolo. Benedetta Carlini si unisce al convento di Pescia, in Toscana. La giovane viene tenuta d'occhio perché sin dall'infanzia pare sia stata in grado di compiere dei piccoli miracoli. La novizia ben presto inizia ad avere strane visioni, tra l'erotico e il religioso, che le danno in un primo momento grande popolarità nel mondo monastico. Col passare degli anni, però, Benedetta avverte che qualcosa sta crescendo dentro di sé, un desiderio che sconvolgerà la vita ecclesiastica delle sue consorelle.
Il Vaticano, insospettito dalla storia della giovane suora, inizia a indagare sulle sue apparizioni e l'accusa di eresia e di intrattenere una relazione omosessuale tra le mura del monastero...