L’intensa storia d’amore tra il leader di un gruppo bluegrass fiammingo e una tatuatrice che diventerà poi cantante dello stesso gruppo.
La malattia della figlia seienne determina una cesura nel loro rapporto facendo emergere i loro opposti atteggiamenti di fronte alla vita: lui è ostile verso la religione (e irritato dai limiti che questa pone alla ricerca scientifica), mentre lei è incline alla fede tramandatale dalla famiglia.
Di fronte alla malattia e alla morte, Felix Van Groeningen non ricorre alle armi di Ferzan Ozpetek (Allacciate le cinture): non le esorcizza con quei tocchi di umorismo bozzettistico attraverso i quali la forza della Vita e dell’Amore prevale su qualsiasi differenza possa, in superficie, allontanare gli esseri umani gli uni dagli altri. Alabama Monroe tende piuttosto ad esacerbare i contrasti e a far emergere le differenze. Il film è un melodramma su come l’identità di un individuo muta di fronte ai casi della vita (le sovrapposizioni dei tatuaggi e i cambiamenti dei nomi) e sulla paura di fronte alle scelte che possono apparire definitive.
Il regista belga rivela una ammirevole padronanza del racconto (le andate e i ritorni tra i diversi punti temporali sono condotti con impeccabile, e a tratti sorprendente, fluidità). Forse l’obiettivo, la sfida, era realizzare – al di fuori del contesto americano – un film che avesse l’aspetto e le qualità di una produzione americana. Da questo punto di vista, il risultato è pienamente all’altezza (chi lo vede in versione doppiata potrebbe anche non accorgersi che si tratta di un film belga).
Tuttavia, il film non convince appieno e lascia impressioni contrastanti. Al di là della capacità di racconto (che la prova degli interpreti sostiene in maniera egregia) e dell’innegabile intensità di alcuni momenti, si nota – nella costruzione della contrapposizione tra i due protagonisti – qualche eccesso di schematismo, che indebolisce la forza e la vitalità dei due caratteri.
Sembra, a un certo punto, che van Groeningen voglia andare verso il film “a tesi”. Cosa che, fortunatamente, non accade perché il finale resta sufficientemente aperto e sorprendente. Resta però il fatto che le posizioni dei due protagonisti sono costruite con una certa grossolanità. Forse questo schematismo funzionava bene nell’originale teatrale da cui il film è tratto (e di cui rimane traccia in alcuni momenti sopra-le-righe), ma, portato al cinema, si rivela elemento di debolezza.
Elise e Didier si innamorano malgrado le loro differenze. Lui parla, lei ascolta. Lui è un ateo romantico, lei è una realista dal forte spirito religioso. Quando la figlia si ammala seriamente, il loro amore è messo duramente alla prova e le differenze nell'affrontare la difficoltà diventano distanza quasi incolmabile.