In una stanza senza tempo che sa un po' di ospedale e un po' di carcere, una serie di Pulcinella sta. Chi gioca a carte, accumulando fave per premio, chi guarda alla finestra, se arrivasse qualcuno. Un lamento cantilenante, sullo sfondo, evoca a memoria Cinico Tv e ci indirizza a un Pulcinella incinto, steso su un letto, probabilmente in travaglio. Arriva quella che sembra una guardia, mostra un documento. Un Pulcinella, quello più sveglio, o forse solo il più irrequieto, è chiamato nel mondo dei vivi, perché qualcuno là sopra è morto, e qualcun altro ha bisogno di una voce, per raccontare una storia bella e perduta.
La storia, inizialmente, era quella della Reggia di Carditiello, in provincia di Caserta, lasciata marcire in una discarica a cielo aperto per oscuri interessi legati alla camorra e sottratta all'abbandono dalle cure volontarie di Tommaso Cestrone, pastore ostinato dagli occhi così azzurri che trafiggono con nonchalance la macchina da presa (perché Bella e perduta è girato su pellicola scaduta, e la grana incandescente di questo cinema nostalgico ed eccezionale la sentiamo scorrere ruvida sulla nostra pelle dall'inizio alla fine, commossi, ad ogni palpito di luce e colore).
Poi Tommaso Cestrone, a poche settimane dal provvedimento che avrebbe reso la Reggia di Carditiello patrimonio dello Stato, è stroncato da un infarto. La traiettoria del film, che doveva essere un'indagine su un pezzo d'Italia bella che prova a non perdersi, vira consapevolmente verso un'orizzonte di favola dalla morale triste e schiacciante, che ha bisogno di un narratore, e di un viaggio da compiere.
Grazie all'aiuto sapiente dello sceneggiatore Maurizio Braucci, Pietro Marcello chiama a raccolta le suggestioni più stranianti del suo humus cinefilo e gli echi più illustri della nostra cultura archetipica e letteraria, e si concentra sul destino segnato di un bufalotto, Sarchiapone, salvato da Cestrone da morte sicura ( i bufali maschi, non forieri di latte, vengono uccisi da piccoli perché inutili da crescere e mantenere) e adesso nuovamente orfano, incerto sulle quattro zampe troppo esili, un cucciolo docile e innocente dallo sguardo liquido come le nostre speranze, come una giornata resa tersa dal temporale della notte precedente.
Il compito di Pulcinella è quello di affidargli una voce e uno sguardo ( le soggettive dell'animale sono girate con una cinepresa a manovella modificata ad hoc in una sorta di fish-eye archeologico) e di traghettarlo, come un Caronte scanzonato, verso il proprio destino: Gesuino, un manovale della pastorizia innamorato di D'Annunzio, che se ne libererà presto, perché non si può fare altrimenti.
Compiacente nei confronti di quanto è già scritto in un libro che contiene tutto, Pulcinella può adesso liberarsi della maschera che lo rendeva spaventapasseri senza cuore e correre libero verso la libertà e l'amore, in un mondo glorioso dove l'erba che brilla d'argento si increspa per il vento, e l'immagine, magnificamente film, si spegne, dopo averci parlato di guerre, coraggio, ineluttabilità: di noi.
Dalle viscere del Vesuvio, Pulcinella, servo sciocco, viene inviato nella Campania dei giorni nostri per esaudire le ultime volontà di Tommaso, un semplice pastore: mettere in salvo un giovane bufalo di nome Sarchiapone.