Michel Ocelot ha una fede cieca nei confronti dell’animazione. Sovente lo ha dimostrato lungo gli anni, ma nel suo ultimo lavoro, Il faraone, il selvaggio e la principessa, rende il concetto esplicito e manifesto come mai era successo all’interno della filmografia precedente. Tutto inizia con una preghiera: farsi raccontare una storia. Un gruppo di personaggi, ripresi in ombrose silhouette quasi a richiamare i profili degli abitanti di una platonica caverna, hanno fame di racconto. Davanti a loro, una narratrice li accontenta narrando non una, ma tre differenti vicende.
Così, il film viaggia nello spazio e nel tempo conducendo gli uditori (sia le sagome, che il pubblico in sala) prima nell'Antico Egitto, poi nella Francia medievale e infine nella Turchia del XVIII secolo. Lo stile adottato dal regista non si discosta dal passato, restando coerente e riconoscibile grazie al tratto bidimensionale, coloratissimo e minimale che lo contraddistingue. Amalgamando l’animazione 2d con la fluidità del 3d, linea che dal 2006, anno del bellissimo Azur e Asmar, Ocelot continua a percorrere, Il faraone, il selvaggio e la principessa lavora sull’essenzialità delle forme, la puntualità del tratto e la complessità delle decorazioni cromatiche.
La pellicola è una festa, un caleidoscopio di disegni e sonorità che richiama alla memoria le intenzioni primordiali del cinema: provocare stupore e meraviglia negli occhi di chi guarda. Certo, sarebbe errato sottovalutare la valenza contemporanea di racconti basati sul conflitto generazionale tra avidi adulti e giovani sognanti; così come sarebbe doveroso soffermarsi sulla struttura stratificata e ambiziosa di un trittico che via via, in un costante climax, si fa portavoce di immagini sempre più ricercate e complesse, “appesantite” dalla presenza delle comparse e dai dettagli sprigionati dalla profondità di campo. Poco alla volta, si discostano dalle semplici sagome della cornice per traghettare il pubblico in un viaggio all’interno della storia del tratto grafico (dai profili degli antichi egizi alle fatiscenti vesti ottomane) prima ancora che della Storia tout court.
Eppure bastano pochi minuti per comprendere che, agli occhi del regista, il tutto è solo un pretesto per dare vita all’ennesimo, sorprendente, spettacolo. Ocelot ci invita a sederci, ammirare e ascoltare un racconto di sagome in movimento. Che si tratti di silhouette, antichi geroglifici, miniature medievali o fiabeschi disegni arabeggianti, poco importa. Ciò che conta è che la tecnica animata possa donare movimento laddove, razionalmente, il movimento non potrebbe esserci. La fede per l’animazione diventa, quindi, animazione della fede.
Tre racconti ambientati in tre epoche e tre luoghi diversi. L'epopea di un uomo per diventare faraone nell'Antico Egitto; la leggenda di un figlio che si ribella al padre sovrano nella Francia del Medioevo; la storia di un principe spodestato e di una principessa nella Turchia del XVIII secolo.