Il terzo lungometraggio di Mirko Locatelli si porta verso toni alti. Accoglie nelle campagne triestine la riflessione esistenziale e filosofica che il racconto conduce con rigore, mentre osserva il gioco della vita e della morte di individui che lottano contro se stessi e il proprio sistema di valori pur di difendere la propria posizione sociale. Se la presenza di Ariane Ascaride fa subito pensare a un cinema delle idee orgogliosamente indipendente, il film è tale anche nel confronti del materiale drammatico che non obbedisce alle strettoie del cinema di genere pur vivendo di sfumature che possono avvicinare il racconto, di primo acchito, a un universo dai sapori chabroliani.
Isabelle però non è e non vuole essere un noir vero e proprio, non indulge in colpi di sorpresa e in sequenze ad effetto drammatico, ma è tutto una questione di sguardo, di attenzione ai corpi dei personaggi che, in una rarefatta danza dei tempi, appaiono in un certo modo e sottendono altro, mentre la rappresentazione voluta da Locatelli si sospinge in un disegno di sottrazione e prosciugamento più che di enfasi e sottolineature, perché tante volte è ciò che non viene detto o mostrato a rivelare di più sulla realtà delle intenzioni.
Isabelle è un’insegnante di fisica di origini francesi che vive in Italia in una grande casa immersa tra i vigneti, dove il paesaggio delle colline triestine è il denso teatro di un personaggio cui la vita ha assegnato un ruolo che non riesce a gestire. In ciò, il regista ha pensato alla protagonista come a uno dei personaggi del teatro borghese di Dumas o Augier; Isabelle guarda le stelle senza romanticismo ma con curiosità scientifica e il suo grande amore è il figlio Jérôme che, in Francia, diventerà presto padre di una bambina. Ma Jérôme è coinvolto in un incidente in cui ha perso la vita una persona e Isabelle, pur di proteggere il figlio e la famiglia, vuole che Jérôme resti lontano, non si esponga; nella sua smania di controllare la realtà, Isabelle vive l’ossessione di sapere se le indagini e le tracce potranno portare al figlio. Finirà per commettere imprudenze, a negare le evidenze avvicinandosi morbosamente a Davide, un ragazzo problematico sopravvissuto all’incidente, anch’egli alla ricerca della verità e soprattuto di un adattamento. A lui, che avrebbe di sicuro bisogno di una figura matura come riferimento, Isabelle darà lezioni private sconcertando il figlio sopraggiunto dalla Francia e preoccupato perché il comportamento della madre potrà essere controproducente e destare sospetti.
L’esame di realtà che Isabelle esegue è tutto sbilanciato nei termini di un'ossessione che la donna via via non controlla, con atteggiamenti verso Davide che ne mostrano scopertamente la fragilità e favoriscono il conseguente ribaltamento di posizioni, con il giovane che, sempre di più sospettoso di Isabelle, acerbo e inesperto alla vita quasi quanto lo è lei, porterà la donna non più giovane all’umiliazione. La tensione che cova sotto la pelle dei personaggi non si scopre quasi mai del tutto, rimane come pronta ad esplodere. Ma saranno i dettagli e le situazioni a richiamare la tensione, a evocarla (il quadro che cade e rompe il silenzio, la sequenza del ballo, splendido piano sequenza, in cui Davide invita Isabelle a danzare), a liberare, senza moralismi né retorica, un dialogo dei corpi al di là delle scarne parole, per lasciare implodere, più che esplodere, i non detti.
Isabelle è normalmente pronta a ricordare a tutti cosa bisogna fare, come ci si deve comportare, ma quando qualcosa di più grande (e non previsto dalla sua teoria fisica) mette in gioco i suoi equilibri e la sua tranquillità, si mostra davvero disposta a tutto pur di ristabilire un equilibrio. Ma il mondo dei non detti, che accomuna lei agli altri personaggi, innesta quelle dinamiche che lasciano emergere le debolezze della madre, portandola a maturare una consapevolezza cui fa cenno il finale privo di retorica, che può preludere a un riscatto della coscienza.
Girato con i mezzi di un film fatto in famiglia, sottile e intenso, il film ha qualche incertezza e risente, nonostante l’ottima Ascaride, di qualche dettaglio recitativo non perfetto. Ma si tratta di un’opera preziosa, autentico cinema della riflessione esistenziale.
Isabelle è un’astronoma di origini francesi, vive in Italia in una grande casa immersa tra i vigneti sulle colline nei pressi di Trieste. Il sole splende sulla campagna, il mare a pochi chilometri si infrange sulla costa rocciosa, il paesaggio è un paradiso e come tutte le estati suo figlio Jérôme passerà qualche tempo con lei. Isabelle lo ama molto, è pronta a fare qualsiasi cosa per lui, ma l’incontro con Davide, un giovane che sta attraversando un momento di grande difficoltà, stravolgerà le loro vite e Isabelle dovrà compiere una scelta che porterà inevitabilmente a un epilogo doloroso.