Seydoyê Silo è un poeta-cantore curdo, un dengbêj, uno cioè di quei cantastorie che da tempi antichi preservano la storia, le leggende e la memoria collettiva del popolo curdo. La sua voce, contenuta in una vecchia musicassetta, è andata perduta quando Nigar, anziana curda, si è dovuta trasferire a Tarlabasi – quartiere di Istanbul, “casa” di numerosi rifugiati curdi dal 1990 – dove vie il figlio Ali, giovane insegnante. Nigar, afflitta dalla noia cittadina e dal forzato sradicamento, si ostina nel voler ritrovare la canzone di Silo, e il premuroso Ali fa il possibile per prendersi cura della madre. Tuttavia, anche l’esistenza di Ali è difficile: continuamente controllato dalla polizia turca, nonostante viva con maggior distacco le proprie radici curde, si sforza di tramandare la lingua, le storie e la cultura del proprio popolo ai bambini, cui insegna con passione nonostante venga spesso ostacolato dal direttore turco della scuola.
A partire dalla fondazione della Repubblica di Turchia, infatti, venne negato ai curdi (il 20% della popolazione) ogni diritto civile; il folle tentativo di panturchizzazione (finalizzato alla trasformazione dei curdi in “turchi di montagna”) arrivò addirittura a deturpare il collante identitario di un popolo ovvero la sua lingua. Furono bandite alcune lettere dell’alfabeto, venne cambiata la toponomastica dei luoghi, mutati i cognomi delle famiglie, proibito di cantare e persino di parlare curdo in pubblico. Così, nel corso degli anni essere curdo divenne sempre più difficile: chiunque tentasse di rivendicare la propria origine venne arrestato, torturato, condannato a morte e i dengbêj, portatori di una memoria preziosa, vitale, identitaria smisero di cantare e furono via via dimenticati. Questo racconta La canzone perduta (Song of my mother), opera prima del giovane Erol Mintaş vincitrice di numerosi festival e distribuito in questi giorni da Lab80.
Vicino al linguaggio neorealista iraniano di Panahi e Farhadi, attento a riprendere l’incredibile significanza, seppur sottaciuta, nascosta e talvolta inespressa della quotidianità, la pellicola di Mintaş ricorda anche la poetica resistente e militante di Eugène Green. Se dal cinema persiano il regista curdo recupera la contraddizione quale asse portante della narrazione – polarità negativa che emerge dal vissuto giornaliero dei protagonisti, dilaniati tra emozione e ragione, tra ansia del lavoro e intimità della casa, tra la cultura di appartenenza e la globalizzazione – La canzone perduta ha in sé la forza politica tipica dei lavori del regista e drammaturgo francese. In particolare riflette su come la lingua, e soprattutto il canto siano in grado non solo di trasformare il mondo ma di renderlo abitabile, proprio come fa Green in Faire la parole.
La ricerca della canzone di Seydoyê Silo è metafora dell’estremo tentativo del popolo curdo di recuperare le proprie radici, di non farsi cancellare dai tentativi inumani e annichilenti del governo turco, di ristabilire un legame autentico col passato e di far rivivere i canti dengbêj, affinché l’antica storia curda non venga dimenticata. Con una poetica intimista che mette in scena le fragilità, i dubbi e le antinomie di Nigar e Ali, Erol Mintaş realizza un film delicato, umano, prezioso, fragile e che, proprio come i suoi protagonisti, necessita di uno sguardo attento e accorato per essere compreso. Dopotutto, come scrisse Herman Hesse, “solo chi necessita di un tocco delicato sa toccare con delicatezza” e La canzone perduta è esattamente uno di quei lavori che tocca e si lascia toccare con soavità, proprio come la vecchia favola curda raccontata in apertura.
Ali, giovane maestro, vive con l’anziana madre Nigar nell’estrema periferia di Istanbul, “casa” di numerosi rifugiati curdi costretti a lasciare i propri villaggi negli anni ’90. Nigar è convinta che tutti gli altri siano tornati al paese d’origine: tormentata, prepara ripetutamente i bagagli per farvi ritorno e poi vaga per la città, smarrita. La donna insiste a voler ritrovare una vecchia canzone tradizionale che però nessuno sembra conoscere. Ali si occupa di lei, prendendosene cura e facendo di tutto per recuperare la canzone sconosciuta, mentre cerca di trovare il tempo per lavorare e scrivere i suoi libri e non riesce a ricambiare appieno la dedizione che dimostra per lui la sua fidanzata. Quando quest’ultima resta incinta, il richiamo della terra d’origine e il desiderio di inserirsi nella realtà turca sembrano inconciliabili.