Nella lingua degli indios dell’Amazzonia esiste una parola che significa all’incirca “la freccia alla fine del tempo”.
Jacob Simon, il protagonista della quinta puntata di Die Andere Heimat, quella freccia la insegue, la afferra e la rilancia, per ritrovarsi ogni volta daccapo, solo al mondo e appagato dall’unico sensazione che nella sua ignavia sa vivere fino in fondo, il “respiro della madre”.
Nell’Hunsrück prussiano, tra il 1842 e il 1844, in un mondo di contadini e artigiani che lottano contro la miseria, Jacob è un intellettuale sognatore, un visionario che di fronte alle carovane di povera gente pronta a immigrare in Brasile, studia la lingua delle popolazioni indigene, si appropria con l’immaginazione di un mondo altro, ricrea nella sua testa, nei suoi libri un’altra patria (traduzione letterale del titolo) e la trasforma nell’altrove di cui l’Occidente ha ancora oggi bisogno per sopravvivere a se stesso.
Jacob è un eroe negativo, si nega al mondo, la Storia gli passa davanti, gli ruba le idee, lo imprigiona, lo travolge, e lui ogni volta si rialza, si appende a testa in giù e vive il “suo” mondo solamente per immaginarlo e reinventarlo.
Arrivato alla quarta puntata del suo Heimat (sarebbero cinque, ma un film, Heimat-Fragmente: Die Frauen, è per l'appunto una raccolta di frammenti), Reitz riprende l'idea di patria amata e abbandonata, di terra e sangue per un intero popolo, e afferra pure lui la freccia del tempo, rivolgendola all’indietro e reinventando in un passato lontano, in un tempo non storico ma ancestrale, un nuovo dramma familiare sobrio e fluviale.
Questa nuova, meravigliosa «altra Heimat» è sognante e svagata, illuminata da un bianco e nero splendido, plastico e insieme naturalista, come sempre cesellato da simbolismi di oggetti e particolari colorati, raccolto attorno ad alcuni momenti di cinema puro: Jacob e le due contadinelle che si rotolano nel prato, la lunga scena della festa della composta, la partenza delle carovane verso il Brasile, Jacob e la madre morente di fronte allo spettacolo delle colline dell'Hunsrück, terra matrigna, prigione e luogo dell'anima che la mente dei personaggi può solamente immaginare.
Tutto in Die Andere Heimat fa parte di una inevitabile, necessaria reinvenzione della realtà, che sta negli occhi chiusi eppure aperti di Jacob e nelle intenzioni dello stesso Reitz, capace ancora oggi di ravvivare una saga lunga ormai trent'anni e saper ancora meravigliare.
Dopo il grande successo raccolto alla Mostra del Cinema di Venezia e al Toronto Film Festival arriva nelle sale italiane l’ultimo geniale lavoro del regista tedesco che con la saga di Heimat ha dato vita a un fenomeno di culto scatenando uno dei dibattiti cinematografici più appassionati e profondi di tutto il Novecento.