Daniele Luchetti

Lacci

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«La domanda muta aveva la nuova tonalità imperativa, esigeva una risposta immediata, silenziosa o a gola spiegata». È un passaggio, uno dei tanti, di Lacci - l’omonimo romanzo di Domenico Starnone da cui Daniele Luchetti ha tratto il suo ultimo film, in apertura della 77° Mostra di Venezia - in cui è presente la scontro ideale fra silenzio e parola, reazione e passività; una domanda muta, una risposta necessaria ma non dovuta.

Nella distanza fra questi termini sta la storia d’amore lunga quarant’anni, tra i primi anni 80 e oggi, tra Vanda e Aldo, sposati, genitori di Anna e Sandro, abitanti nel quartiere Stella di Napoli, uniti anzi no divisi dai legami – dai lacci – che una famiglia impone, dalle responsabilità della vita in comune, dagli impegni degli affetti, dalle parole che bisogna dire e da quelle che bisogna tacere. Da questo mondo fugge Aldo, intellettuale conduttore radiofonico a Roma che passa buona parte del suo tempo via di casa, prima per lavoro, poi per amore, quando inizia una relazione con la collega Lidia, innamorata di lui tanto quanto lui non riesce ad amare nessuno, o meglio ancora non sente il bisogno di dimostrare – di dire – il proprio amore a qualcuno, né all’amante, né tantomeno alla moglie o ai figli.

Aldo è il fulcro del film, l’elemento che scombina la famiglia, andandosene, tornando saltuariamente, scegliendo infine di rimanere, sempre perso nei propri silenzi, nelle parole di troppo che dice alla radio e nei gesti in cui si rifugia nella speranza di delegare l’affetto ad altre forme di comunicazione (insegnare ad allacciare le scarpe, ad esempio). Il merito più grande del romanzo di Starnone (“l’opera letteraria”, come viene pomposamente scritto nei titoli di coda) era di dare una risposta al dolore di ciascun personaggio, scegliendo la forma della lettera, la voce diretta, i botta e risposta, la confessione, la divisione fra Libro primo, secondo e terzo a seconda del punto di vista.

Il film di Luchetti – adattato dal regista con lo stesso Starnone e Francesco Piccolo – prova allo stesso modo a rendere la struttura polifonico, non corale, del testo di partenza, fallendo però nella scelta di non approfondire la parte migliore, che è la prima, quella interpretata dai bravi Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio, capaci di rendere il tormento reciproco di una coppia, a partire proprio dalla distruzione sistematica del personaggio maschile attraverso la disamina dello sguardo femminile. Che non è tanto quella della moglie Vanda, quanto quello della figlia Anna, volto innocente ma già consapevole, sguardo acuto e silenzioso, sempre al di là dal vetro (di una macchina, di uno studio radiofonico) rispetto al padre, desiderosa di apprendere qualcosa di lui, di farsi lasciare qualcosa in eredità, non per forza una collana, ma magari quel solito gesto di allacciarsi le scarpe.

Nella prima parte di Lacci, che nel corso del film torna poi in forma di ricordo o epifania, è proprio il gioco crudele delle parole o dei silenzi, delle assenze e delle presenze, del prima e del dopo, del qui e del laggiù, di Napoli e Roma, delle varie prospettive dei personaggi, ciascuno con la propria visione e interpretazione delle cose, a dare al film un ritmo incalzante e doloroso, veloce e insieme profondo, proprio come il romanzo. Nei rimbalzi della storia ai giorni nostri, alle figure invecchiate e incattivite di Vanda, Aldo, Anna e Sandro il film perde però la sua coerenza fatta di spazi soffocanti e corpi vicini (i lacci di una vita, per l’appunto), svuotando la tensione nei duetti quasi comici tra Laura Morante e Silvio Orlando (parodia dei già parodici coniugi di Ferie d’agosto) e tradendo nelle scene finali con Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini la stessa letterarietà dei dialoghi che ha anche la storia di Aldo con Lidia (interpretata da Linda Caridi) e in generale non restituendo con la medesima forza metaforica l’immagine di una casa fatta a pezzi, emblema dell’impossibilità di incollare i cocci di una vita.

«Dalla crisi di tanti anni fa abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci tacciamo», scrive ancora Starnone attraverso le parole di Aldo. La forza e il vantaggio della parola scritta, però, stanno proprio nel mostrare le possibilità infinite di ciò che non rivela; come Vanda, per la quale «ciò che dice o fa è quasi sempre il segnale di ciò che nasconde». Per il cinema, invece  – o forse per questo cinema medio e troppo montato che si limita a mettere in scena la parola – il problema è quello dello stesso di Aldo, l’ansia di rivelarsi, la vanità di non farsi capire, la pedanteria di sfogarsi inutilmente.

Lacci
Italia, 2020, 100’
Regia:
Daniele Luchetti
Sceneggiatura:
Daniele Luchetti (dal romanzo "Lacci" di Domenico Starnone), Domenico Starnone, Francesco Piccolo
Fotografia:
Ivan Casalgrandi
Montaggio:
Aël Dallier Vega, Daniele Luchetti
Cast:
Adriano Giannini, Alba Rohrwacher, Giovanna Mezzogiorno, Laura Morante, Linda Caridi, Luigi Lo Cascio, SIlvio Orlando
Produzione:
IBC Movie, Misia Films, Rai CInema
Distribuzione:
01 Distribution

Napoli, primi anni Ottanta: il matrimonio di Aldo e Vanda entra in crisi quando Aldo si innamora della giovane Lidia. Trent’anni dopo, Aldo e Vanda sono ancora sposati. Un giallo sui sentimenti, una storia di lealtà e infedeltà, di rancore e vergogna. Un tradimento, il dolore, una scatola segreta, la casa devastata, un gatto, la voce degli innamorati e quella dei disamorati.

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