L’anziana Louise è rimasta sola, prigioniera di un villaggio sul mare. L’estate è finita, la gente se n’è andata, l’ultimo treno è partito. L’hanno dimenticata. Come lei ha dimenticato gran parte della sua vita. In quel luogo il tempo non esiste (gli orologi sono fermi o senza lancette). Ci sono solo le stagioni. E Louise, a poco a poco, comincia a capire che quella, in realtà, è una straordinaria occasione di libertà. Può scoprire chi è davvero e cosa è in grado di fare. Può tornare a ricordare.
Jean-François Laguione – sconosciuto ai più, anche se fa cinema dagli anni ‘60, anche se alcune sue opere hanno fatto la storia dell’animazione (ad esempio La demoiselle et le violoncelliste e La traversée de l’Atlantique à la rame) – sa molto bene cosa sta raccontando, visto che ha 77 anni, che in quei luoghi sulla costa della Normandia ha passato l’infanzia, che conosce quel modo di essere (umano e artistico), quella dimensione fatta di solitudine e libertà. Lui è Louise, e Louise è il suo cinema, e questo cinema richiede di entrare nel film in punta di piedi, quasi accarezzando la materia pittorica e la texture, accettando la sfida gentile lanciata al rumore, alle storie pirotecniche, allo spettacolo spettacolare.
Louise costruisce una capanna sul mare e trova anche un amico a quattro zampe, arruffato quanto lei. Aspetta, spera, “qualcuno arriverà”, ma intanto assapora qualcosa che assomiglia alla felicità. Il vento, il mare e il cielo sono resi più veri dall’assenza di naturalismo, dal realismo poetico di un disegno a matita, un acquarello, un ambiente evocato in gouache (tra le sue fonti di ispirazione, l’animatore-scrittore francese cita i quadri marittimi di Aubertin e Rivière).
Il lavoro attento sul sonoro (ricercato ma non ostentato) contribuisce a creare uno spazio insieme realistico e immaginario, aiuta a confondere sogno, realtà e memoria. La morte è onnipresente, ma non fa paura, è solo un’altra faccia della vita, che ha sempre una nuova possibilità.
Le stagioni di Louise (ma Louise en hiver suona meglio e suggerisce di più) non teme i silenzi e i vuoti, anzi rischia ogni tanto di scivolare sulla sua trasparenza, il tratto delicato, le leggerezza del tocco, fino quasi a scomparire. Ma riesce anche a evocare la vertigine di uno sguardo gettato oltre la scogliera. Riesce a rendere la paura e la (ri)scoperta della libertà. E quando il film sembra quasi compiacersi troppo della propria lirica diversità, arriva una piccola idea narrativa, un suono, un gesto, un dialogo tra il cane e Louise (la voce di Piera Degli Esposti aiuta) che ci riporta coi piedi per terra, dentro il vento, tra le onde del mare.
L'ultimo giorno di estate, Louise, un’anziana donna, si rende conto che l'ultimo treno è partito senza di lei. Si ritrova così da sola in una piccola località balneare, abbandonata da tutti. Il tempo inizia a peggiorare e lei, fragile e civettuola, non è esattamente un Robinson Crusoe. Eppure, Louise prende questa situazione come una sfida, cercando di sopravvivere affrontando la natura così come i suoi ricordi.