Sylvie Verheyde

Madame Claude

film review top image

“Questa storia si ispira alla vita immaginaria di Fernande Grudet, alias Madame Claude, nata il 6 luglio 1923 ad Angers”, recita una didascalia appena prima che un paio d’occhi truccati di mascara compaia sullo schermo. Non è la prima volta che qualcuno mette in scena la biografia della Grudet, la più importante gestrice di bordelli francese degli ultimi anni. Madame Claude, infatti, ancora in vita e nel pieno della sua attività, era già diventata protagonista del film omonimo firmato da Just Jaeckin, nel 1977. Nel 2021, a sei anni dalla sua morte, è Sylvie Verheyde a dirigere il biopic che porta lo stesso titolo.

È il sessantotto, l’anno della contestazione. In Francia il presidente della Repubblica è il generale Charles de Gaulle. Madame Claude è già un’affermata imprenditrice nel mondo della prostituzione di lusso: le sue squillo sono le più richieste da diplomatici e alti funzionari di stato. Non solo: grazie al ruolo di informatrice e ai contatti con mafia e polizia, è una delle donne più potenti del paese. È proprio lei a raccontare la sua storia in voice over, sovrapponendo il presente, narrato dalle immagini, al passato, rievocato dal commento sonoro. Arrivata a Parigi da ragazza madre non ancora maggiorenne, Fernande adesso è una donna elegante a capo di un florido business. Alle giovani che si propongono di lavorare per lei fa indossare abiti di sartoria e insegna le buone maniere. Di giorno in ufficio, tra appuntamenti e a colloqui di lavoro, e la notte nel locale notturno in cui si riunisce il jet set di quel sistema così funzionale: è un do ut des, la polizia non vede, il fisco neanche, tutti ci guadagnano.

Se i ricordi della protagonista ripercorrono il passato, il racconto della sua vita procede invece in ordine cronologico. Dal momento di massimo splendore fino ai problemi con la giustizia e al definitivo declino, negli anni Novanta. Nello scorrere degli eventi il film lascia intravedere, o quantomeno intuire, alcuni fatti realmente accaduti, e la storia di Madame Claude si intreccia con quella del suo paese. L’affaire Marković, ad esempio: nel 1968 Stevan Marković, guardia del corpo di Alain Delon, viene trovato morto nella periferia parigina. L’ex Primo ministro Pompidou è accusato di essere coinvolto. Madame Claude lo sa, anzi, dice anche di più di quello che dovrebbe sapere. L’anno dopo, Pompidou viene eletto presidente, e lei sale di grado, rimanendo invischiata nei servizi segreti. È diventata “la maîtresse della Repubblica”.

L’intreccio tra politica e malavita è talmente fitto da risultare inestricabile, ma Fernande ha imparato molto bene a destreggiarsi in quella realtà dominata dagli uomini. Oltre a sé stessa, nella sua vita non c’è spazio per niente e nessun altro, nemmeno per l’amore. E quel poco che c’è è sempre doloroso e conflittuale. Madame Claude, nei tratti duri e affilati di Karole Rocher, dietro i tailleur d’alta moda e il fumo di sigaretta, ha un carattere forte e un animo inviolabile. Forse è per questo che la regia di Verheyde non si avvicina mai più di tanto al suo personaggio: Grudet resta impenetrabile, anche nei momenti di maggior emotività. Persino di fronte alla figlia, che ha abbandonato fin da piccola. Solo con Sidonie, la più intraprendente delle sue ragazze, sa dimostrare un po’ di affetto. Tra le due si instaura quell’intesa difficile ma necessaria alle donne che sanno di doversi proteggere in un mondo declinato al maschile. Nei primi piani sul viso della giovane e nel montaggio alternato che più di una volta la accosta alla sua protettrice, è evidente il confronto tra due figure femminili che condividono lo stesso destino. Due generazioni di donne che impareranno, ognuna a modo suo, a sfruttare la violenza degli uomini.

Gli anni passano, la musica rock dei The Troggs e le note malinconiche di Françoise Hardy lasciano il posto ai ritmi funkie degli anni Settanta: la colonna sonora segue il passare del tempo e sembra suggerire che le cose cambiano per tutti, prima o poi. Con il nuovo presidente Giscard d’Estaing la finanza si presenta alla porta di Grudet. La regina delle squillo d’alto bordo, che nella sua rubrica poteva vantare, si dice, John Kennedy e Marlon Brando, verrà condannata per evasione fiscale.

La ricostruzione biografica la segue nei suoi ultimi anni di vita, mantenendo quel distacco adottato sin dall’inizio. Nemmeno ora che ha i capelli grigi e si è ritirata dal mondo, Grudet lascia trapelare alcunché. Una semplice frase scritta ne annuncia la morte, nel dicembre 2015. Anche dietro la lente del cinema, la leggenda vivente della prostituzione è e rimarrà un personaggio tanto affascinante quanto misterioso.


 

Madame Claude
Francia, 2021, 112'
Titolo originale:
Madame Claude
Regia:
Sylvie Verheyde
Sceneggiatura:
Sylvie Verheyde
Fotografia:
Léo Hinstin
Montaggio:
Christel Dewynter
Musica:
Elise Luguern
Cast:
Karole Rocher, Roschdy Zem, Garance Marillier, Pierre Deladonchamps, Annabelle Belmondo, Hafsia Herzi, Joséphine de La Baume, Mylène Jampanoï, Paul Hamy, Djanis Bouzyani
Produzione:
Les Compagnons du Cinéma, Wild Bunch, TNG Productions, Dum Dum Films
Distribuzione:
Netflix

Nella Parigi degli anni '60 Madame Claude gestisce di uno dei più importanti bordelli parigini ma la sua influenza si estende oltre il mondo della prostituzione. La sua attività di protettrice e “mamma” delle sue giovani ragazze la vedono legarsi in maniera importa al mondo politico, poliziesco e mafioso, fino a quando una giovane donna ricca minaccia di cambiare tutto.

poster