Il titolo originale di Parigi, tutto in una notte di Catherine Corsini, in concorso a Cannes 2021 e vincitore, quest’anno, del premio César per la miglior attrice non protagonista ad Aissatou Diallo Sagna, è La fracture, “la frattura”. L’opera si apre in effetti con una frattura, quella tra Raf e Julie, compagne di vita che si stanno per separare, anche se Raf fa fatica ad accettare la rottura e mette in atto comportamenti contraddittori, oscillanti tra rabbia e compiacenza, per evitare di essere abbandonata. Inseguendo la sua donna una mattina cade, e si frattura un braccio. Un’altra frattura: vera, concreta, letterale. Per la quale viene portata in pronto soccorso, dove Julie la raggiunge e dove il film prende corpo con l’arrivo, anche, di Yann, altro personaggio visto in precedenza mentre, con un amico, sta raggiungendo Parigi per partecipare ad una manifestazione dei gilets jaunes. Il film inizia davvero (e finisce) qui, nel pronto soccorso di un ospedale parigino nel quale confluiscono, man mano, altri manifestanti e altri infortunati. Unità di tempo e luogo per un ospedale saturo di pazienti e un po’ meno di personale, per cui medici e infermieri sono costretti a turni sfiancanti, senza che questo faccia perdere loro l’umanità.
Possiamo intuire a questo punto che la terza frattura, la più importante, riguardi la società francese, e non solo francese, nel suo complesso, e sia quella che, almeno dal 2018 cioè dall’apparizione dei gilets jaunes sulla scena politica, oppone governo e società civile, privilegiati e non, ricchi e poveri, cittadini (parigini) e abitanti delle banlieues o della provincia. Ovviamente schematizzando. Nel film questa frattura emerge dai protagonisti infortunati, Raf e Yann, lei radical chic parigina che rimanda alla regista (che si è effettivamente infortunata nel 2018 e che ha voluto, con il film, ricreare l’esperienza vissuta), lui camionista dei sobborghi che, se non riporta indietro il camion entro sera, perde il lavoro e la possibilità di sopravvivere. Lei che ha partecipato a tante manifestazioni da giovane e che ora non ne vede il senso, lui che attende quell’occasione per esprimere il proprio pensiero e il proprio dissenso. Ed emerge, questa frattura, nel racconto che la regista ha voluto fare delle proteste dei gilets jaunes, forse un po’ troppo ideologicamente contrapposti alla polizia che li carica fino alle soglie dell’ospedale, ma analizzati attraverso alcuni personaggi (oltre a Yann, l’ex compagno di scuola di Julie e la sua amica ferita) che ne illustrano le ragioni, più che politiche, sociali ed umane. Anche se il tema più interessante, a mio avviso, è quello etico.
Gli ospedali sono pieni, si diceva, e la polizia non vuole che i manifestanti feriti siano fatti entrare. Ma un medico si assume la responsabilità di infrangere l’ordine, in accordo con la maggioranza degli infermieri, e fa entrare quelle persone. Le attese saranno lunghe a causa della scarsità del personale ma almeno staranno al riparo, e saranno curati. I medici ricevono tra l’altro la richiesta di comunicare alla questura i nomi dei feriti che provengono dalla manifestazione, ma decidono di non farlo. E soprattutto lavorano, in barba ai turni massacranti di cui sopra e alle situazioni critiche che via via si presentano, come quella del paziente psichiatrico che deve stare in pronto soccorso perché non può essere accolto, momentaneamente, nel suo reparto. Si distingue in particolare il personaggio di un’infermiera, Kim, che svolge il suo lavoro con passione e umanità pur in una situazione di pressione come quella rappresentata, dando a tutti la giusta attenzione anche quando la sua figlia piccola viene portata in ospedale, febbricitante. Perché il dolore rende tutti uguali, e se la sanità è pubblica, come viene detto con forza ad un certo punto, tutti devono avere il diritto di essere curati, indipendentemente dal motivo per cui si sono ammalati.
I riferimenti al Covid sono davvero casuali visto che il film è stato scritto prima dell’epidemia, anche se è stato girato all’inizio della stessa; ma i riferimenti all’attualità sono numerosi, a partire dalla frattura sociale di cui si diceva esemplificata in particolare dalla vicenda di Yann, che sopporta un primo intervento alla gamba “a vivo” per non prendere dei farmaci che gli diano sonnolenza con lo scopo di riportare indietro il camion quella sera stessa e non perdere così il lavoro, che per questo fugge dal pronto soccorso senza farsi operare e che, sempre per questo, torna poco dopo in ospedale su un’altra ambulanza, essendosi ribaltato con il camion. Storie di ordinaria povertà anzi di povertà contemporanea, la nuova povertà di chi un lavoro ce l’avrebbe, come molte tra quelle di Ken Loach o, per restare in Francia, di Stéphane Brizé.
Interessante infine il modo in cui il film è girato: claustrofobico per l’unità di tempo e luogo che si diceva e dinamico, ritmato, urlato, dal movimento serrato anche per l’uso della camera a spalla. La regista voleva rendere in modo realistico la realtà di un pronto soccorso, sempre sul filo dell’emergenza, e ha utilizzato per questo attori non professionisti per il personale sanitario accanto a Valeria Bruni Tedeschi, Marina Foïs e Pio Marmaï, uno più bravo dell’altro. Il film è una commedia, ma affronta temi impegnati e impegnativi in maniera quasi documentaria; comincia sui due (tre) protagonisti e poi si allarga alla situazione collettiva dell’ospedale in cui si distingue, come si diceva, la figura di Kim; il tutto tenendo insieme, e questo è forse il merito maggiore dell’opera, le storie intime dei personaggi e la storia sociale, la vicenda collettiva.
«L’ospedale è un luogo utopico di democrazia dove tutti, ciascuno con la propria malattia o con le proprie ferite, vengono ascoltati da un personale sovraccarico di lavoro e pagato male», ha dichiarato infatti la regista. E viene usato qui per «dare una possibilità all’idea di un futuro più umano, democratico e rispettoso»; parole, dal pressbook del film, con le quali ci piace chiudere questo contributo.
Una coppia sull’orlo della rottura, si ritrova in un pronto soccorso la sera di una protesta dei gilet gialli a Parigi. Il loro incontro con uno dei manifestanti ferito e arrabbiato, manderà in frantumi le loro certezze e i loro pregiudizi.