Stefano Sollima

Politica di genere

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Cotto e mangiato. Suburra dimostra in modo egregio come nel cinema italiano il poliziottesco si sia definitivamente mangiato il film politico. Più o meno per le stesse ragioni per cui, nel film, i personaggi si mangiano Roma: più bello, più bullo, più aggressivo, più appariscente, più rapido. È vero che qui di poliziotti non c’è nemmeno l’ombra, ma i ritmi narrativi, il machismo e la spettacolarità vengono da lì.  Suburra è un film fatto di buio, pioggia e regolamenti di conti, la corruzione non ha origine né motivi, solo conseguenze sanguinarie e selvagge. 

Verrebbe da chiedersi quali siano le ragioni di una metamorfosi, questa del cinema politico nostrano, così rapida e per certi versi sorprendente. Alcune sono di natura estetica: più eleganti e meditati, più sottili e articolati, i film di Petri e Rosi sono oggetti suggestivi ma anacronistici, probabilmente impraticabili in tempi di spettacolarità isterica e frenetica quali sono i nostri.

Ma sono anche, al contempo, figli di un’epoca in cui la corruzione e il malaffare usavano guanti di velluto e non pugni di ferro, dove la mediazione della politica pazientemente riusciva a contrabbandare per interesse pubblico la voracità dei palazzinari e l’incontinenza dei criminali. Vedere, per credere, Le mani sulla città, dove la descrizione dei dissidi politici è essenziale a spiegare gli scempi urbanistici che sfregiano Napoli.

A leggere le cronache odierne – che abbiano per oggetto Roma capitale, l’Expo a Milano o il Mose a Venezia – si ha invece l’impressione che l’illegalità abbia fatto, negli ultimi vent’anni, un salto di qualità in termini di spregiudicatezza, arroganza ed avidità. Tutto è molto più diretto e brutale, la contraffazione delle male intenzioni non ha più ragione di essere, la corruzione può permettersi di agire senza la copertura di presunti salvagenti morali.

Forse allora non è il cinema politico, ma la politica tout court ad essere diventata “di genere”, ad avere adottato schemi narrativi più brutali e diretti, gli stessi che vediamo poi all’opera nel film di Sollima.     

Suburra
Italia, 2015, 130'
Regia:
Stefano Sollima
Sceneggiatura:
Stefano Rulli, Sandro Petraglia
Fotografia:
Paolo Carnera
Montaggio:
Patrizio Marone
Cast:
Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Antonello Fassari, Jean-Hugues Anglade, Adamo Dionisi, Giacomo Ferrara
Produzione:
Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Éric Neveux
Distribuzione:
01 Distribution

Nell'antica Roma, la Suburra era il quartiere dove il potere e la criminalità segretamente si incontravano. Dopo oltre duemila anni, quel luogo esiste ancora. Perché oggi, forse più di allora, Roma è la città del potere: quello dei grandi palazzi della politica, delle stanze affrescate e cariche di spiritualità del Vaticano e quello, infine, della strada, dove la criminalità continua da sempre a cercare la via più diretta per imporre a tutti la propria legge.

Il film è la storia di una grande speculazione edilizia, il Water-front, che trasformerà il litorale romano in una nuova Las Vegas. Per realizzarla servirà l'appoggio di Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino), politico corrotto e invischiato fino al collo con la malavita, di Numero 8 (Alessandro Borghi), capo di una potentissima famiglia che gestisce il territorio e, soprattutto, di Samurai (Claudio Amendola), il più temuto rappresentante della criminalità romana e ultimo componente della Banda della Magliana.

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