Clint Eastwood crede nella Legge, nell’idea astratta di Stato, non nelle persone che lo rappresentano. In Richard Jewell lo dice apertamente l’avvocato Watson Bryant, quando il suo assistito sta per affrontare i tre agenti federali che lo accusano di aver piazzato una bomba nel villaggio olimpico di Atlanta ’96, causando un morto e più di cento feriti: quelli non sono lo Stato, dice il personaggio interpretato da Sam Rockwell, ma solo tre stronzi che lavorano per l’FBI.
Il nucleo morale del cinema di Eastwood sta lì, nello scontro fra individui per la negoziazione della Legge nella vita quotidiana. Che è corrotta, violenta, insensata, lontana dallo spirito autentico dell’America. Che la simpatia vada sempre a un eroe minore e in lotta contro un’ingiustizia perpetrata dallo Stato, è una scelta di campo precisa, una forzatura narrativa che per Eastwood è un banco di prova sia delle sue convinzioni sia della tenuta dei suoi personaggi.
Nel caso di Richard Jewell il modello è reso più ambiguo e sottile dalla presenza di una persona mediocre, un uomo che fa la cosa giusta, salvando decine di vite grazie alla sua abnegazione, perché fa sempre la stessa cosa, sostanzialmente prendendo alla lettera la Legge e applicandola in maniera ottusa. E l’FBI e i media, rappresentati da un agente viscido (Jon Hamm) e da una giornalista arrivista e non proprio casta (Olivia Wilde), sono a loro volta inefficaci, stupidi o rapaci, non perché dietro ci sia chissà quale spirito di denuncia o autocritica, ma proprio perché Eastwood non crede nelle emanazioni dello Stato, e dunque, rispettando il dato storico di un’accusa nata dalla volontà di trovare un colpevole o realizzare uno scoop, le ridicolizza nella funzione del loro potere.
In Richard Jewell non succede sostanzialmente nulla, a parte il momento perfettamente gestito dell’attentato, per altro noto e atteso. Richard non fa nulla di sbagliato, se non applicare il protocollo in maniera così precisa da risultare fastidioso; allo stesso modo il suo avvocato, che naturalmente è anch'egli una figura emarginata e anti-sistema, yuppie degli anni '80 diventato nei '90 un professionista senza clienti, non pensa a particolari strategie che non siano l’affermazione di una verità evidente ed elementare. È insomma la forzatura delle autorità a generare l’ingiustizia, attraverso un ribaltamento di prospettive rispetto a film come Un mondo perfetto o Sully che però non cambia la sostanza delle cose: qui l’FBI non agisce eliminando l’aspetto umano dal contesto (come succedeva al cecchino che uccideva l’evaso di prigione infischiandosene dell’affetto di un bambino), ma al contrario cerca l’uomo, le sue debolezze e le sue contraddizioni, laddove c’è soltanto il suddito rispettabile e rispettoso.
Il discorso sul rapporto fra individuo e Stato si fa così ancora più esplicito e radicale, in quanto Richard Jewell è un dropout con cui è difficile empatizzare (obeso, solo, illuso, legatissimo alla madre: il perfetto profilo del bombarolo) e i suoi accusatori rappresentanti di quell’intellighenzia e quell’autorità federale (l’FBI, la giornalista, il rettore dell’università...) che per il pensiero conservatore sono da sempre emblema dell’antiamericanismo.
Di tutti gli ultimi film di Eastwood, Richard Jewell è senza dubbio il più curato e riuscito: la regia è quasi sempre in controllo del racconto (a parte forse la sequenza del sogno e il montaggio alternato fra le ricerche dell’avvocato Watson e la corsa da record del mondo di Michael Johnson sui 200 metri); la direzione degli attori è straordinaria (non solo Sam Rockwell e Kathy Bates, candidata all’Oscar per l’interpretazione della madre di Richard, ma anche il bravissimo Paul Walter Hauser); il livello di tensione tenuto perfettamente in sospeso, soprattutto nella scena dell’attentato realizzata con un uso del montaggio “anti-De Palmiano” per il modo in cui tempo e spazio non sono manipolati, ma anzi mantengono una naturalezza classica.
Resta però la ripetizione di un discorso che rischia sempre più di sclerotizzarsi, coerente e onesto come si deve a un grande regista, ma ripiegato in una visione della realtà anch’essa ottusa nel ribadire l'esistenza di un autentico spirito americano anti-statalista, contro la massa e dalla parte del singolo.
C’è una bomba al Centennial Park. Avete solo trenta minuti di tempo”. Il mondo viene così a conoscenza di Richard Jewell, una guardia di sicurezza che riferisce di aver trovato il dispositivo dell’attentato dinamitardo di Atlanta '96. Il suo tempestivo intervento salva numerose vite, rendendolo un eroe. Ma in pochi giorni, Richard diventa il sospettato numero uno dell’FBI, diffamato dalla stampa e dalla popolazione. Professando la sua innocenza Jewell chiama in soccorso l'amico avvocato Watson Bryant, il quale dovrà scontrarsi con i poteri combinati dell’FBI e della stampa per scagionare il suo cliente.