Sul palcoscenico di una scuola di provincia va in scena, in un clima da American Gothic, una rappresentazione teatrale interpretata da cuccioli. Si racconta di un passato lontano in cui il mondo animale era governato dal terrore e segnato dall’eterno inseguirsi di prede e predatori. Oggi invece una società più giusta ed egualitaria ha sfumato i confini instaurando una convivenza basata sul rispetto delle differenze e sul superamento delle pulsioni naturali. La protagonista è una coniglietta di nome Judy, che sogna di emanciparsi dal destino familiare di coltivatrice di carote per realizzare il suo sogno: diventare un poliziotto nella grande metropoli.
Da questa premessa parte Zootropolis (l’originale Zootopia suona più vicino allo spirito utopico dell’assunto), il nuovo film Disney che abbandona principesse e dolciastre creature per gettarsi in un affresco del mondo animale in cui il progresso è sinonimo di pluralità e diritti. Una civiltà più umana dell’umano – impostata su un antropomorfismo assoluto che ha le radici nel magnifico Robin Hood disneyano degli anni Settanta – in cui le differenti peculiarità dei personaggi (e delle specie) sembrano definire tipologie caratteriali perfettamente aderenti alla società contemporanea.
Anni dopo Judy realizza il suo sogno, ma l’idealità che governa Zootropolis – una città-mondo divisa in quattro quartieri/ecosistemi, ognuno con le proprie caratteristiche ambientali e i propri pericoli – non è arrivata fin dentro le menti di tutti i suoi abitanti: i pregiudizi continuano a regnare incontrastati e l’inserimento di un coniglietto (donna!) nel mondo ferino della polizia non è semplice. Destinata a multare auto ai parcheggi da un capo bufalo ligio alle regole ma che non vede di buon occhio la nuova piccola intrusa, Judy ben presto s'imbatte nella misteriosa sparizione di una lontra. Ad aiutarla controvoglia nell’indagine – tra il dubbioso sussiego dei suoi colleghi felini e pachidermi – una volpe truffaldina, perfetto esempio di un con artist che sembra uscito da La stangata. Sulla loro strada incontreranno (e scontreranno) toporagni mafiosi e corleoneschi, pecorelle doppiogiochiste, bradipi addetti al pubblico negli uffici della motorizzazione, gnu nudisti dall’aroma lebowskiano, leopardi golosi di ciambelle e leoni sindaco (ché non è più tempo di re della foresta).
Zootropolis è il frutto perfetto del nuovo corso Disney, che già aveva dato risultati evidenti rivitalizzando il filone favolistico con La principessa e il ranocchio, Rapunzel e Frozen e cercando di innovare una tradizione un po’ stanca con ibridazioni spregiudicate (i videogiochi vintage di Ralph Spaccatutto, il mondo tra manga e supereroi di Big Hero 6). Miscelando una creatività più adulta e meno rassicurante, ereditata dalla fusione con Pixar, con l’adesione ai ritmi sincopati da commedia in stile Dreamworks/Madagascar, Zootropolis manifesta l’ambizione altissima di raccontare per metafore certe caratteristiche dell’America di oggi.
Il film prende presto i binari del buddy movie con derivazioni noir scegliendo la contaminazione come regola narrativa: il tono è a tratti lisergico, i tempi comici sono cadenzati con brio, i riferimenti cinefili si sprecano, l’architettura della città unisce toni esotici a sensazioni postmoderne, l’anima pop è affidata a una gazzella canterina con la voce di Shakira.
Ma a parte il canonico discorso sul poter diventare ciò che si vuole – la determinazione ostinata del self-made man (in questo caso bunny) sempre pronta a trionfare – Zootropolis mira alto raccontando gli inciampi e le difficoltà di una società basata su una coesistenza coatta, giocando con gli stereotipi razziali, di genere e non solo: le difficoltà di una femmina per ottenere rispetto e fiducia in un mondo maschio (la stazione di polizia); i quartieri etnici segregati e minacciati (la città dei piccoli roditori, fragili anche rispetto a un coniglio); il lavoro massificato (i lemming che si muovono come un piccolo esercito di impiegati/soldatini); la presunta disabilità socialmente inclusa (i bradipi sorridenti e lentissimi).
Al cuore del film c’è però ben fermo il concetto che solo attraverso uno sforzo reciproco, magari anche accettando il discutibile aiuto di un malavitoso, gli opposti si possono tenere insieme (anche volpe e coniglio, alla fine attratti in maniera quasi carnale) e che il nemico comune da combattere è la paura dell’altro, instillata nella variegata e instabile popolazione da chi ricopre ruoli di potere in modo da giustificare controllo e repressione: il cartoon e la paranoia dei nostri giorni incontrano le teorie complottiste di certi film della New Hollywood.
E questo, nell’anno delle elezioni presidenziali americane, dell’islamofobia dilagante, dei muri di confine generati dal panico e promessi dal candidato Donald Trump, rappresenta una presa di posizione forte e non scontata, evidentemente destinata non solo al pubblico dei bambini ma anche a quello degli elettori.
A Zootropolis, moderna metropoli molto diversa da qualsiasi altro luogo, vivono solo animali. E lo fanno convivendo pacificamente, l'elefante vicino al topolino, il gatto al topo, la volpe al coniglio. Al suo arrivo in città, però, l'agente Judy Hopps scopre che la vita di una coniglietta in un corpo di polizia dominato da animali grandi e grossi non è facile. Judy si mette allora al lavoro su un caso misterioso per dimostrare il suo valore. Ad aiutarla una volpe furba e loquace di nome Nick Wilde.