Walter Veltroni

Veltronizzare Berlinguer

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Una piazza piena e una piazza vuota. Il passato e il presente. L’agire politico e la sua assenza. Il documentario di Walter Veltroni su Enrico Berlinguer getta un ponte tra una pesante eredità – ideale prima che ideologica – e la sua concreta rilettura. 

Veltroni apre il suo film con delle interviste a giovani studenti che di Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 al 1984, non sanno nulla. A loro sembra rivolgersi il racconto umano di un protagonista dell’eurocomunismo e dello strappo dalla grande madre sovietica, ideatore di nuovi scenari di alleanze politiche nell’Italia delle BR, testimone del tempo tra trionfi elettorali e scelte anacronistiche, uomo probo e politico integerrimo, morto su un palco veneto durante una campagna elettorale, consumato dalla stanchezza e dalle tensioni interne che avrebbero deflagrato il PCI negli anni successivi.

Veltroni sceglie con cura il materiale di repertorio – dalle foto d’infanzia sassaresi agli interminabili minuti dell’ultimo malore padovano – e lo raddoppia con interviste mirate che sfiorano il privato (con le parole dell’unica donna presente nel film, la figlia Bianca) per concentrarsi sui ricordi pubblici e politici (dei compagni di partito Tortorella, Napolitano, Macaluso, Ingrao).

La naturale tendenza di Veltroni al languido lirismo non priva il film di una sorprendente e decisa presa di posizione politica. La linea berlingueriana – al centro delle riflessioni e delle divisioni che segnarono la fine del PCI e portarono al PDS – viene sposata in toto, senza se e senza ma, attraverso una rilettura piena di narrazioni e omissioni.

La complessità è sacrificata in nome di una scrittura a posteriori dell’immagine politica di Berlinguer (del suo PCI, più che di quel PCI) di cui Veltroni si sente l’ultimo e unico erede. Ma immaginare il progetto (fallito, ma questa è un’altra storia) del PD veltroniano come l’unica risultante possibile – per idealità e prassi politica – delle riflessioni di Berlinguer è una forzatura mistificatoria a cui non va negata una certa frenesia vitalistica.

Veltroni (ri)costruisce il suo Berlinguer, utile per collocare al centro del dibattito politico il percorso di una parte della sinistra italiana: la sua. L’operazione sarebbe legittima – seppur discutibile – se Veltroni non condisse il suo documentario di momenti di didascalico languore (l’onnipresente colonna sonora), di maniacale egotismo (un voce off che vuole sovrapporre la sua biografia politica a quella del vecchio capo), di lirismi di pessimo gusto (il funerale sulle note di Gino Paoli, come in una grottesca caricatura nostalgica), di ostentazione pop (il comunismo spiegato da Jovanotti).

Il problema insomma non è nel suo lanciarsi apertamente in una personale (e parziale) riscrittura storiografica, nel volere accaparrarsi – primus inter pares – l’eredità del segretario (il morettiano “siamo uguali ma diversi” che si è poi trasformato in una cantilena di “ma anche”) ma nella pulsione, neanche troppo nascosta, a veltronizzare Berlinguer. E questo, sinceramente, appare eccessivo.  

Quando c'era Berlinguer
Italia, 2014, 117'
Titolo originale:
id.
Regia:
Walter Veltroni
Sceneggiatura:
Walter Veltroni
Fotografia:
Davide Manca
Montaggio:
Gabriele Gallo
Musica:
Danilo Rea
Cast:
Giorgio Napolitano, Enrico Berlinguer, Bianca Berlinguer, Luigi Bettazzi, Jovanotti, Silvio Finesso, Arnaldo Forlani, Alberto Franceschini, Richard Newton Gardner, Mikhail Gorbachev, Pietro Ingrao, Emanuele Macaluso, Alberto Menichelli, Eugenio Scalfari, Sergio Segre
Produzione:
Palomar, Sky Cinema, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Distribuzione:
Bim

Il racconto del modo in cui l'opera di Enrico Berlinguer è stata vissuta da un ragazzo che non veniva da una famiglia comunista ma che guardava con grande interesse e suggestione al lavoro coraggioso di un uomo che guidava il Partito Comunista verso approdi inimmaginabili in termini di novità politiche e culturali e di consenso popolare. Ma anche il racconto della solitudine di Berlinguer e dei suoi successi, in una chiave narrativa che ha cercato di saldare i ricordi personali dell'autore con i ricordi dei protagonisti del tempo.

 

 

 

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