Hirokazu Kore'eda

Asura

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Lievi, quasi impercettibili movimenti di macchina avvolgono i personaggi, mentre luci calde e rassicuranti accolgono lo spettatore. L’irrisolto cola nella trama fin da subito e proprio i piccoli, insistenti, scostamenti dello sguardo incrinano la superficie tranquillizzante della storia e aprono al non detto, che a poco a poco acquista potere. 

Koreeda torna alla serie televisiva, dopo The Makanai: Cooking for the Maiko House, già distribuita da Netflix nel 2023 e la precedente Going My Home (2012). Asura - basato sul romanzo Ashura no gotoku di Mukōda Kuniko già adattato per una serie televisiva alla fine degli anni Settanta e per un film di Morita Yoshimitsu del 2003 - prende spunto da uno degli assunti classici del regista: un’assenza declinata nelle dinamiche dei personaggi, figura attorno alla quale le relazioni si sviluppano e si trasformano. La struttura familiare sulla quale Koreeda da tempo riflette - tanti i titoli, da Nobody Knows (2004) a Still Walking (2008), a Un affare di famiglia (2018) - in questo caso è composta da quattro sorelle – così come era in Little Sister (2015) – e si confronta dapprima con l’assenza di chiarezza determinata dalla scoperta della relazione extraconiugale del padre anziano e di una sua presunta seconda vita, successivamente con la perdita della madre che amplifica il senso di sgretolamento della solidità della famiglia e introduce i rapporti in una zona di sottile ambiguità.

Mentre il gioco di rimandi si intensifica – Makiko che giunge sotto la casa dell’amante del padre in una rappresentazione visiva di un evento analogo che in Still Walking veniva solo raccontato, e incrocia la madre in un’apparizione inattesa e quasi fantasmatica - Koreeda tesse le fila di una verità relativa innescata dal sospetto, che si sviluppa nelle zone oscure delle relazioni.

L’interazione tra i diversi personaggi regge lo sviluppo della storia, anche grazie a un cast di alto livello: Ono Machiko nella convincente interpretazione di Makiko, casalinga sposata con Takao, Miyazawa Rie è Tsunako, vedova insegnante di ikebana, Aoi Yū e Hirose Suzu (che già in Little Sister interpretava il ruolo della quarta sorella più giovane) sono rispettivamente Takiko, una ragazza schiva che fa la bibliotecaria, e Sakiko, cameriera e poi moglie di un pugile; anche i personaggi maschili sono volti noti del cinema nipponico, primo fra tutti il padre anziano, un camaleontico Kunimura Jun che, con gli occhi grandi e intensi e i sorrisi silenziosi, fa del personaggio di Asura un uomo dal fascino sfuggente e ambiguo. E poi, in un Giappone anni Settanta nel quale, difficile da immaginare ormai, si viveva senza cellulari, Koreeda attribuisce un ruolo quasi da co-protagonista all’’antiquato’ telefono fisso il cui suono riempie all’improvviso stanze vuote, interrompendo la tranquillità della notte, e sul cui filo transitano le emozioni, le paure, le confessioni.

La morte torna, dopo l’’eccezione’ di Il terzo omicidio (2017), a far parte di ciò che non può essere mostrato: un’ellisse racchiude quella della madre delle quattro sorelle. Si colgono anche altri rimandi a opere precedenti di Koreeda: quasi in apertura le donne si ritrovano a casa di Makiko e cucinano insieme, ricordando la vita in famiglia quando erano più giovani e torna alla mente un’altra cucina, quella in Still Walking, in cui una madre anziana e una figlia adulta conversavano creando un tessuto sonoro di ricordi su immagini della preparazione dei cibi. Del resto, Makiko in più di un momento ricorda la protagonista del precedente affresco familiare, in particolare nel rapporto irrisolto con un marito del quale sospetta il tradimento, che ‘sfida’ a volte con occhi decisi. In più occasioni lo sguardo di Makiko irrompe sulla scena in maniera potente, sia che ci venga celato, come quando, in un momento di tensione, la ripresa si concentra sulla figura della donna di spalle, prima che improvvisamente lo squillo dell’onnipresente telefono la costringa a voltarsi, sia che, di riflesso, venga rivolto direttamente in macchina, mentre lei si trova in cucina, sola con i propri pensieri.

Non succede nulla di particolarmente eclatante in Asura, la storia si dispiega con un ritmo tranquillo, ma la sapiente costruzione di incastri di trama, di sguardi ‘liberati’ oltre le barriere dell’inquadratura, di parole attese infine non dette, lascia percepire sotto l’apparenza di quotidianità il dibattersi di inquietudini universali, che travalicano il confine del contesto temporale. In definitiva, per il regista che di recente ha realizzato un film stratificato come L’innocenza (2023), quest’ultimo lavoro appare come un passo ulteriore nel racconto del grande teatro delle relazioni umane, luci e ombre comprese. 


 

Asura
Giappone, 2025, 7 x 60'
Titolo originale:
Asura no Gotoku
Ideazione:
Hirokazu Kore'eda
Fotografia:
Takimoto Mikiya
Cast:
Ono Machiko, Miyazawa Rie, Aoi Yū, Hirose Suzu, Motoki Masahiro, Matsuda Ryūhei, Kunimura Jun
Produzione:
Bunbuku
Distribuzione:
Netflix

Tokyo, 1979. La scoperta della relazione segreta dell'anziano padre porta a galla emozioni represse in quattro sorelle diverse tra loro sgretolando una felicità solo apparente.