Quella del biopic appare sempre come una sfida ardua, molto ardua quando si parla di fiction tv, praticamente impossibile quando si parla di fiction tv italiana. Decisamente impossibile diventa poi quando il personaggio con cui si cimenta è uno come Fabrizio De André che impossibile da affrontare, probabilmente anche da sopportare, certo da raccontare, lo era davvero.
Eppure Rai Fiction, in questa sorta di “nuovo corso” che pare aver intrapreso da qualche tempo (anno) a questa parte, sembra essersi appassionata alle sfide, come nel caso recentissimo di La linea verticale. Anche dal punto di vista distributivo la strategia è tutt’altro che banale: nel caso della fiction di Mattia Torre, la preview disponibile in binge watching sulla piattaforma Raiplay prima della diffusione in prima serata, nel caso di quella firmata da Luca Facchini, l’evento cinematografico di due giorni che anticipa di meno di un mese la messa in onda tv e che, a sorpresa, incassa ben oltre 700 mila euro in soli due giorni di programmazione.
Insomma la televisione italiana si rinnova, ci prova, e sembra farlo con successo. Qui investe tutto su un protagonista (e non poteva essere diversamente in un racconto biografico), uno degli attori di maggior carisma della sua generazione: Luca Marinelli; e dietro gli vanno i tanti volti su cui punta la fiction (e anche il cinema degli ultimissimi anni) di casa nostra, Matteo Martari, Davide Iacopini, Valentina Bellè, Elena Radonicich. Il cast è piuttosto ben scelto anche nella non ossessione, evidente, per la verosimiglianza. Niente santini (nei limiti), niente agiografie, un po’ di concessioni… va bene cosi. Alla fine ci si dimentica pure dell’accento romano di Marinelli (non se la prendano i fedelissimi e i puristi), degli occhioni scuri della Bellè, della gigioneria navigata di Ennio Fantastichini e ci si gode una fiction fatta bene, scritta con mestiere (e con la supervisione/benedizione della stessa Dori Ghezzi) pronta per essere un prodotto televisivo di tutto rispetto.
Si è vero, racconta una figura centrale della storia culturale del nostro paese, un cantante che ha rivoluzionato per sempre il modo di fare musica in Italia, un poeta che ha scritto righe fondamentali marchiate a fuoco nell’immaginario di più di una generazione, e lo fa prendendosi non poche libertà. Non tanto rispetto ai fatti di una vita trasformata in racconto (e quindi di per sé tradotta in qualcos’altro) ma rispetto all’idea, all’icona, al senso di appartenenza, al senso di appropriazione che si arrogano, come è normale che sia, i fan. Per questo, per questa libertà che racconta e che in fondo fa propria, a un certo punto si può perfino prescindere da Fabrizio De André per concedersi, semplicemente ma non banalmente, il piacere del racconto, della messa in scena, della finzione. Ed è il maggiore punto di forza di Fabrizio De André – Principe Libero. Per quanto paradossale possa sembrare.
“Principe” e “libero”, due parole che, accostate, raccontano molto bene De André: il magnetismo e il naturale distacco di un principe, sempre pronto a raccogliere e ad appassionarsi alle storie dei diversi, degli ultimi, dei diseredati, e a farne parabola, canzone, preghiera; la ricerca della libertà e il racconto di un viaggio fatto “in direzione ostinata e contraria”, per usare i versi di una sua canzone, che lo hanno reso il testimone e il cantore dell’uomo e della sua divina imperfezione, promuovendone valori come la tolleranza, il perdono, la comprensione, il rispetto, l’amore.