Insieme a Glauber Rocha e Joaquim Pedro de Andrade fu pioniere del cinema novo, la nouvelle vague brasiliana sviluppatasi sul finire degli anni Cinquanta e diventata punto di riferimento per intere generazioni di registi, critici e spettatori in Sud America e non solo. Nelson Pereira dos Santos è morto ieri a Rio de Janeiro a 89 anni, sessanta dei quali spesi a scrivere, produrre e dirigere film (l’ultimo, il documentario A Luz do Tom, è del 2013).
Formatosi al Centro sperimentale di cinematografia di Roma nel secondo dopoguerra Dos Santos (che era di origine italiana da parte di madre), fu un grande amante e studioso del Neorealismo italiano e ammiratore di Pasolini. Tornato in Brasile a metà degli anni Cinquanta girò alcuni film profondamente neorealisti osservando con occhio realista la complessa società del proprio paese. Fu tra i primi a portare le favelas di Rio de Janeiro sul grande schermo con due documentari che fecero epoca: Rio, 40 Graus (1956) e Rio zona norte (1957).
Ma sono stati soprattutto i lavori degli anni Sessanta e Settanta ad avergli dato la notorietà – seppur qui in Europa solo nel ristretto circuito dei festival – quelli più politicamente impegnati e intrisi di feroce e dissacrante ideologia anti-capitalista e di forte critica verso la società industriale. Ma carichi allo stesso tempo di vigorosa condanna del passato schiavista (come in Azyllo Muito Louco, 1970) e coloniale (come nel celebre e insuperato Como era gostoso o meu Francês, 1971) del Brasile. In una fusione di contemporaneità e storia che definì la nuova onda brasiliana come un movimento non solo unico nel suo genere ma capace di influenzare notevolmente il cinema politico coevo anche europeo.