Xavier Dolan

25 anni, e gira da dio

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Madre single, figlio 16enne disturbato e una prof balbuziente che non ama parlare del proprio passato.

Il triangolo è questo. Folle, patologico, incestuoso, gioioso, appassionato, violento, comico, romantico. Ma non chiedete a Dolan una trama coerente o uno sviluppo narrativo convincente. Il suo cinema è fuoco, energia, è desiderio. Ogni scena vuole essere la più importante non solo del film ma anche della storia del cinema (questa l'ho rubata a Frodon). E poco importa che sia girata per strada o in un supermercato, dentro la cucina di casa o in un bar-karaoke.

Importa moltissimo, invece, che l'immagine sia schiacciata e dia l'illusione di essere verticale (il formato in realtà è 1:1), obbligando i personaggi a trovare una collocazione nel poco spazio a disposizione (è verticale anche lo sviluppo dell'inquadratura, formato ritratto), costringendo il nostro sguardo sui volti e sui corpi, eliminando letteralmente il fuoricampo, nel senso che il buio rimasto ai margini dell'immagine separa, isola i protagonisti della storia.

"L'apertura dello schermo" è uno dei gesti più sfacciati, sorprendenti ed esaltanti del cinema recente (a Cannes ci fu una standing ovation). Per non parlare del crescendo sinfonico verso la felicità (im)possibile, la guarigione cinematografica (quel gigione di un Dolan!) offerta in pasto ai cinefagi inguaribili romantici, la tragedia che esplode dentro il ridicolo, e quella corsa alla fine, in cui finalmente capiamo perché l'1:1, la porta-finestra-libertà che l'adolescente (Steve, il protagonista, ma anche Xavier, il regista) insegue per tutto il film.

Dolan usa bella musica e sequenze da videoclip, indugia in trovate kitsch, è egocentrico e compiaciuto. Tutte sublimi qualità, s'intende, quando sono accompagnate da questa freschezza e vitalità, da immagini potenti e dialoghi contundenti, per raccontare personaggi che non sono teoremi, simboli, metafore di un mondo, una classe sociale, una tesi piscologica, politica, sociologica.

Dolan non racconta dei losers, non sta a compiangere i suoi personaggi, ma li ama e ce li fa amare. Anche l'insopportabile ragazzo attaccabrighe iperattivo volgare pericoloso che vuole sua madre tutta per sé. Anche la madre incosciente e innamorata, grossolana e “perdente”, che non sa cosa fare e come fare con suo figlio. Anche e forse soprattutto la vicina di casa, la professoressa timida che fa di tutto per stare lontano da casa sua e che ritrova la voglia di vivere grazie a quei due.

La verbosa didascalia iniziale è quasi una beffa, allude a una legge che, in un Canada immaginario, permetterebbe di scaricare ragazzi difficili in apposite strutture, per liberarsi del problema. Come dire: questa è la cornice, il "problema", proprio ciò che a Dolan non interessa. Superba Anne Dorval, già vista in J'au tué ma mère Les Amours imaginaires

Il piacere del cinema, finalmente. Grazie a un ragazzo di 25 anni che gira da dio.

Mommy
Canada, Francia, 2014, 139'
Titolo originale:
id.
Regia:
Xavier Dolan
Sceneggiatura:
Xavier Dolan
Fotografia:
André Turpin
Montaggio:
Xavier Dolan
Cast:
Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément, Patrick Huard, Alexandre Goyette, Michèle Lituac
Produzione:
Nancy Grant
Distribuzione:
Good Films

Un'esuberante giovane mamma vedova si vede costretta a prendere in custodia a tempo pieno suo figlio, un turbolento quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di attenzione. Mentre i due cercano di far quadrare i conti, affrontandosi e discutendo, Kyla, l'originale nuova ragazza del quartiere, offre loro il suo aiuto. Insieme, troveranno un nuovo equilibrio, e tornerà la speranza.​

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