«Tu non morirai». Non può dire nient’altro, il giovane Daniel, nelle vesti di Padre Tomasz, chiamato d’urgenza al capezzale di un’anziana. E lei, dopo avergli stretto la mano, muore. Non può dirle nient’altro, lui che in fuga dalle responsabilità a cui lo vincola il riformatorio si fa passare per prete in un villaggio di poche anime e quelle poche sono pie e praticanti ma sotto sotto misere ed egoiste. Daniel le dice che non morirà non per mentirle, e neppure per ignoranza: tu non morirai ha per lui lo stesso significato di un’assistenza concreta, un gesto pratico, fare una cosa, fare delle cose, qualcosa.
Daniel ha fede, ma si è visto sbarrare il percorso da seminarista per i suoi peccati. La permanenza nel paese, mentre dice messa, confessa i fedeli e benedice un cantiere, è per lui un’occupazione. La sua, infatti, di fede, è effettiva, non astratta; sostanziale, non teorica. Tanto che i segreti inconfessabili del paese, ma inconfessabili soprattutto per individualismo e povertà d’animo, Daniel li svela più per sé che per penitenza o purificazione delle coscienze. Per capirsi, più che per capire le persone o impartire delle lezioni morali.
Non a caso nel finale, davanti al coetaneo che ha svelato il suo travestimento, non trova di meglio che dirgli «Mi hai venduto». Chiaro, elementare, probabilmente banale, senza dubbio – appunto – concreto, pragmatico. In abito talare Daniel non è diverso dal sé civile nel carcere dove sconta la sua pena. E nel borgo che prega i propri defunti ma rifiuta categoricamente la sepoltura ai presunti assassini, e dove le apparenze devote nascondono rancori violenti che nemmeno la croce e i numerosi piccoli santuari possono sopire, egli, lontano dall’essere il nuovo messia o un missionario, cerca soltanto se stesso.
È dunque un racconto di formazione, Corpus Christi, più che una specie di riarticolazione di Il corvo di Clouzot (benché anche qui ci siano delle sgradevoli lettere anonime). E si tratta di una formazione assolutamente laica nel nome non di Cristo, bensì di un’identità informe, sbriciolata, da rimettere in sesto e da riregistrare. L’io. Per Daniel, fede è carità per ovvietà: la misericordia è un atto istintivo attraverso la quale smontare pregiudizi e abbattere poteri. Dunque tu non morirai e mi hai venduto equivalgono a uno sguardo sul mondo. Nessun dogma. Daniel vuole agire, vuole pensare, vuole credere che l’unico credo giusto appartenga a un dovere di riformulare il proprio esserci. Per lui affrontare il lutto meschino messo in scena dal paese è una necessità personale. Altro che afflizione: il corpo di cristo che Daniel rivela è un’immagine tatuata di simboli di vita.
E la morte, come la delazione e il bigottismo, la grettezza e l’esercizio infame dell’autorità, perde di senso. Tu non morirai. Non c’è palcoscenico, in Corpus Christi: Jan Komasa, che oggi sa come parlare della contemporaneità (recuperare anche The Hater, subito), guarda alla persona come nodo focale e centro prospettico del presente; è da Daniel che Daniel riparte. Senza troppo ottimismo, però: il sistema non cambia, la perpetua del villaggio resta al suo posto e conserva pieni poteri (che personaggio memorabile, Lidia; che interprete sublime, Aleksandra Konieczna), Daniel torna da dov’era venuto, la violenza è ancora una volta già contemplata e inevitabile. Tutto è come prima. Forse anche Daniel.
La storia di DanieI, un ventenne che vive una trasformazione spirituale mentre sconta la sua pena in un centro di detenzione. Daniel vorrebbe farsi prete ma questa possibilità gli è preclusa per la sua fedina penale. Uscendo dal centro di detenzione, gli è assegnato un lavoro presso un laboratorio di falegnameria in una piccola città, ma al suo arrivo, essendosi vestito da prete, viene scambiato per il parroco. La comparsa di questo giovane e carismatico predicatore diventa l'occasione per la comunità, scossa da una tragedia avvenuta qualche tempo prima, per cominciare a rimarginare le sue ferite