Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm, Rick Barnes

David Lynch: The Art life

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David Lynch: The Art life i registi Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm e Rick Barnes hanno deciso di svincolarsi dalla dittatura cronologica che spesso contraddistingue la meta-narrazione del «grande mito», preferendo procedere per associazioni ellittiche e sinestetiche tra vita e opera.

Troviamo così Lynch nel suo studio-atelier hollywoodiano, mentre è intento a realizzare un quadro il cui risultato finale si vedrà alla fine del film, facendo di questa parabola creativa la vera ossatura temporale della narrazione. Perché come egli stesso ha dichiarato: The Art Life è quel modo di passare la vita non facendo altro che bere caffè, fumare sigarette e dipingere. È lì che provi felicità infinita».

Prima di essere il padre psichedelico dell’immagine cinematografica contemporanea, Lynch appare come un uomo che lavora incessantemente, mentre fuma e scherza con figlia, la piccola Lula Boginia (ultima delle sue quattro figlie, tutte avute da diverse mogli).  Liberato dalla retorica capitalistica del successo o dello sfruttamento, grazie all’esempio di Lynch il lavoro acquista una nuova aurea: diviene, cioè, ciò che rende l’uomo tale, e non ciò che lo soggioga o ne limite la libertà. Diventa, soprattutto, l’orizzonte stesso della libertà.

In maniera osmotica al lavoro di pittore, nel tempo del documentario emerge la vita di Lynch; dall’infanzia americana in una delle innumerevoli “Twin Peaks d’America” alla creazione dei primi corti e poi alla travagliare realizzazione del primo lungometraggio, Eraserhead - La mente che cancella.  Ogni film sembra ridursi al gesto creativo della pittura, alla realizzazione della possibilità di creare mondi nel mondo (anche quando da bambino il suo orizzonte esperienziale non poteva oltrepassare i due isolati) e distendere lo sguardo fino a scorgere l’esistenza del virtuale, ciò che non accade ma che per il nostro occhio può potenzialmente accadere. Lynch riafferma il principio per cui l’arte è arte quando si lega alla concretezza materiale della dimensione del fare. E come sia solo in forza di questa concretezza che la dimensione spirituale compare.

Il film è dedicato alla piccola figlia, che quando crescerà riceverà in dono l’intero girato di ben 25 ore. Più che la sua vita, dunque, Lynch sembra voler donare la libertà radicale del proprio sguardo, vera forza catalizzatrice di ogni azione. A tal proprosito i francesi usano la parola regarde, proprio a evidenziare il carattere attivo e soggiogante dello sguardo che non si limita a restituirci il mondo ce ma lo rifrange contro, in un visione caleidoscopica. Un concetto estetico reso dal film stesso, che non ricorre ai colori ipersaturati alla Lynch, ma è così libera da concedersi la tranquillità cromatica di colori caldi e immagini nitide, ad alta risoluzione.

David Lynch: The Art Life
Usa, 2016, 90'
Titolo originale:
David Lynch: The Art Life
Regia:
Jon Nguyen, Olivia Neergaard-Holm, Rick Barnes
Musica:
Jonatan Bengta
Produzione:
Duck Diver Films, Hideout Films, Kong Gulerod Film
Distribuzione:
Wanted

David Lynch racconta gli anni della sua formazione artistica. Dall'infanzia nella tranquilla provincia Americana fino all'arrivo a Philadelphia, le tappe del percorso che lo ha portato a diventare uno dei più grandi uomini di cinema mai esistiti.

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