La qualità più evidente di Il supplente è la dignità. Di assunto, di realizzazione, di resa artistica.
Diego Lerman ha 47 anni, di Buenos Aires, e come regista (e sceneggiatore e ogni tanto produttore) può vantare una filmografia di tutto rispetto, perfetto connettivo per tanti festival Internazionali dove, ogni tanto, si porta a casa anche qualche alloro: Tan de repente, 2002 ha vinto il Pardo d'Argento a Locarno, Mientras tanto, 2006, è stato proposto a Venezia nelle Giornate degli Autori, mentre La mirada invisible, 2010, e Refugiado, 2014 hanno arricchito la Quinzaine des Realisateurs a Cannes. Infine Una especie de familia ha ottenuto il premio per la Miglior Sceneggiatura a San Sebastian, dove è stato proiettato anche il suo sesto lungometraggio, El suplente appunto, nel 2022.
Lucio (Juan Minujin, tra le sue interpretazioni Zama, 2017, di Lucrecia Martel e I due papi, 2019, di Fernando Mereilles), scrittore e professore, torna nel quartiere di periferia (il film è girato ad Avellaneda, comune alle porte di Buenos Aires) in cui è cresciuto per fare da supplente in un liceo. Come insegnare la passione per la letteratura in una classe degradata, ad adolescenti che si arrabattano in un duro contesto, tra droga, ignoranza, dispersione, indigenza, abulia?
Messa così sembra una “classica” storia di conflitto tra idealismo e realtà degradata, di dilemma tra professione e vocazione. Peraltro quello che “salva” la pellicola è una tensione costante verso un'autenticità spicciola, dove il privato si sovrappone all'impegno sociale, con una retorica del “perbene”, della scelta giusta, che non sorvola mai sull'inevitabile asprezza dell'ambiente.
Quando nella scuola viene trovato un ingente quantitativo di droga, è evidente - a chi può coglierlo - che si tratta solo di un atto della sordida guerra di potere tra il narcotrafficante locale, El Perro e il sindaco. Ed in mezzo c'è finito proprio uno dei suoi studenti, neanche tra i più dotati, Dilan, un ragazzo che il padre di Lucio, il “Cileno”, figura carismatica e promotore di nobili battaglie civili (sta costruendo una mensa per le persone in difficoltà) sta proteggendo.
Polizia, ispettori ministeriali, paura tra i genitori, sconcerto degli insegnanti... tra tutto questo caos, e proprio mentre da divorziato ha anche i suoi problemoni con le radicali stizze della figlia adolescente, Lucio cerca di non rinunciare, in mezzo alla tempesta, ai suoi impegni di educatore, di padre, di figlio, di essere umano insomma. Perchè fa tesoro delle parole della Preside al suo primo giorno di lavoro: “i ragazzi devono affrontare una vita dura altrimenti vengono mangiati vivi. Devi essere forte e fermo, ma anche complice e porre dei limiti. Devi fargli capire che stai dalla loro parte”
Inutile cercare deviazioni verso l'action o la crime story o comunque cortocircuiti narrativi esplosivi. Ci sono film che raccontano del senso dell'esserci anche quando magari non si sa se esista l'anima, a cosa serva e dove sia (vedi la magistrale lezione di fine d'anno di Lucio alla classe). Il supplente è una storia drammatica che evita la tragedia e che, anche se si fa trovare nei toni, nei messaggi, nei relativi colpi di scena esattamente là dove sai che andrà a parare, contiene una pulizia di stile e una limpidezza morale di valore assoluto (peraltro il regista, oltre a immettervi i suoi ricordi di studente vi ha anche messo la sua esperienza di docente e lo si nota con piacere).
Lucio, un giovane professore universitario, accetta l’incarico di supplente in un liceo del quartiere in cui è cresciuto, nella periferia di Buenos Aires. Raccontando del senso e del valore della letteratura, cerca di suggerire ai suoi studenti una possibile alternativa alla dura realtà della loro vita quotidiana. Ma dovrà presto spingersi al di là della sua missione di insegnante per aiutare Dilan, un ragazzo preso di mira da un boss locale della droga.