Joyce e Kubrick a parte (che sul testo di Omero è ritornato continuamente e non solo in 2001: che cos’è, per esempio, Eyes Wide Shut se non un ibrido in chiave psicosessuale del Canto di Natale e dell’Odissea?), tra le migliori rivisitazioni del poema omerico ci sono – in ambito squisitamente cinematografico – quella di Piavoli con Nostos – il ritorno e – in campo letterario – il celebre Omeros di Derek Walcott e il geniale Itaca per sempre di Luigi Malerba, dove la riscrittura in prima persona del testo, alternando la prospettiva di Penelope e quella del callido Odisseo, modificava radicalmente l’interpretazione degli eventi pur mantenendo i fatti inalterati.
Ed è proprio quest’ultimo l’esempio a cui è più opportuno rifarsi parlando di Itaca. Il ritorno di Uberto Pasolini. E non solo per l’evidente assonanza dei due titoli. Come Malerba, anche Pasolini rispetta infatti la scansione degli eventi e il loro sviluppo logico. Certo, non replica l’intera struttura dell’originale, disperde la Telemachia nelle maglie del racconto e, non banalmente, individua il cuore del poema nel Libro XIV, dove Odisseo (Ralph Fiennes), finalmente sbarcato a Itaca dopo un viaggio ventennale, ritrova il fedelissimo Eumeo (Claudio Santamaria), «di cui fra tutti/d’Odisseo i miglior servi alcun non era».
La vicenda, del resto, è nota a tutti: Odisseo (preferiamo in questa sede rifarci al nome greco e non alla latinizzazione «Ulisse») scopre che la moglie Penelope (Juliette Binoche) è tenuta prigioniera in casa propria, dov’è assediata da un esercito di pretendenti capeggiati dal viscido Antinoo (Marwan Kenzari). E così, travestito da mendicante, con l’aiuto di Eumeo e del figlio Telemaco (Charlie Plummer) brama e pianifica crudele vendetta ai danni degli usurpatori.
Pasolini, complice un budget sensibilmente più esiguo dei vociferati 250 milioni di dollari stanziati dalla Universal per l’Odissea di Nolan, rinuncia totalmente all’epica, gira quasi filologicamente su un’isola dell’Eptaneso (a Corfù, però, e non a Itaca), esclude ogni suggestione fantastica e ricostruisce l’Ellade del XII° secolo a.C. come se fosse un luogo barbarico e pre-civile, tanto da far pensare – erroneamente – alle glauche foschie medievali di certi film dell’omonimo Pier Paolo. Un mondo decadente, crepuscolare, balcanizzato, dove gli unici sentimenti che contano sono la cupido dominandi degli eletti per ceto e la libido serbiendi degli ultimi. Già qui, in fondo, ci si trova di fronte a una preoccupante crisi non tanto d’immagini (termine da usare oggi cum grano salis) quanto di un immaginario convertito alla moneta universale del disincanto, del vuoto simbolico e dell’uniformità estetica (in fondo, non è molta la differenza che passa tra le luci tremolanti della fotografia di Marius Panduru e l’incuria délabrée dell’orrida serie Netflix Troy – La caduta di Troia).
Il problema più grave, però, è un altro. Perché se Malerba, come detto, intravvedeva nel mito una sostanza viva a cui è possibile donare sempre nuovo significato (ed ecco quindi che Penelope, nel romanzo, riconosce fin da subito il marito dietro la maschera del miserabile vagabondo presentatosi a palazzo), Pasolini si limita invece a ricondurre la materia sotto la banale giurisdizione del riduzionismo psicologico. Senza, peraltro, mai toccare le corde della tragedia di un uomo sospeso tra il dolore della memoria e il rischio dell’oblio. D’altronde, l’Odissea non è solo, come si è scritto fino allo sfinimento, una ricognizione fenomenologica della prassi del ricordo, ma anche una struggente e sospirata resa alla necessità di dimenticare.
Qui, Odisseo diventa invece l’archetipo dell’esule perennemente tormentato dal demone della guerra che si combatte fuori e dentro di lui, ma si tratta di una forma decisamente elementare di traduzione del mito. Mentre, dati il materiale di partenza e la ricchezza ermeneutica seguita al transfert culturel che ha originato, è lecito aspettarsi una riscrittura non intasata dai miasmi del qualunquismo. Estetico e intellettuale.
Un'Odissea dello spirito, senza viaggi, senza mostri, senza dei. Solo un uomo sfinito che torna a casa dopo anni di lontananza, una moglie tenace che lotta per mantenere la fede in un suo inatteso ritorno e il viaggio di un figlio verso l’età adulta, diviso tra l’amore per sua madre e il peso del mito di suo padre. Una famiglia separata dal tempo...