I film a sfondo giudiziario sono accomunati dall’imprevedibile ingresso in scena di nuovi elementi e colpi di scena, con conseguente ribaltamento del giudizio dello spettatore rispetto della vicenda, ma in La ragazza con il braccialetto la cosa veramente importante non è identificare l’assassino, quanto scoprire che tipo di clima si crea intorno allo scontro tra un’adolescente, con le sue unicità e contraddizioni, e una società che non vedendo soddisfatte le proprie aspettative da parte dei ragazzi reagisce con perplessità, impazienza e perfino rabbia.
Lise è una diciottenne accusata di aver brutalmente assassinato la sua migliore amica. Il film segue lei (Melissa Guers) e i suoi genitori (Roschdy Zem e Chiara Mastroianni) dall’arresto al verdetto, rivelando progressivamente elementi sempre più importanti, in un crescendo di tensione. Ma che Lise abbia ucciso o meno la sua compagna ha poca importanza davanti alla scoperta del suo mondo, fatto di primi amori, di domande su sé stessa e sugli altri, delusioni, bullismo… tutto passa attraverso foto, video, messaggi, che sembrano solo forme effimere e non riescono a dare o trovare interpretazione né a far scaturire un vero dialogo interpersonale e intergenerazionale. Nelle parole e soprattutto nei silenzi di Lise emergono il disagio nel rapportarsi a un mondo adulto incapace di comprenderla, ma anche la fierezza nell'attestare la propria identità e autonomia.
Tra le maglie di questo legal thriller emergono così con forza i temi della caparbietà adolescenziale, della curiosità verso una sessualità sempre più libera e delle nuove tensioni sociali legate all’utilizzo massiccio delle piattaforme social e di comunicazione online. Si ragiona anche, in maniera delicata, sul problema della pervasività del giudizio altrui, di quella sorta di tribunale morale alla cui sentenziosità si è sottomessi a scapito di un’empatia che renderebbe meno rigida e intransigente la società.
Il film lavora su un intreccio ricco concedendo alcuni rari momenti di decompressione, per esempio con pause di sospensione dopo intensi dialoghi. La regia minimale ma dinamica sostiene la sceneggiatura e le interpretazioni senza mai diventare predominante e la musica, ridotta a due temi, fa da corollario senza sovrastare. L’attestazione di capacità e di stile del regista sono concentrate nella sequenza iniziale (il piano sequenza che attraverso una videocamera osserva voyeuristicamente da lontano l’arresto di Lise) e poi messe completamente a servizio della vicenda che si svolge quasi completamente in interni, soprattutto nell’aula di tribunale dove l’inquadratura esclude i soffitti e riduce l’aria sopra ai personaggi costringendoli maggiormente nello spazio, mentre l’esterno è visto per lo più attraverso il finestrino dell’auto o gli elementi architettonici del tribunale.
Al di là dell’intreccio e del genere, a Stéphane Demoustier sembra interessare principalmente portare l’attenzione sul reale grado di conoscenza che gli adulti hanno dei propri figli e sul potente trauma vissuto da una giovane donna che ha dovuto sostenere la pubblica esposizione della sua vita e delle sue scelte: un peso che la vincolerà sempre come quel bracciale elettronico portato alla caviglia.
Lise ha 18 anni e un braccialetto elettronico alla caviglia. Accusata due anni prima del presunto omicidio della sua migliore amica, attende il processo a casa dei genitori, Bruno e Céline che la sostengono, ciascuno a suo modo, interrogandosi sulla maniera migliore di fare fronte al dramma familiare. Bruno è un padre protettivo, Cèline una madre bloccata davanti al destino della figlia. Un destino che si gioca in tribunale tra accuse e difese, confessioni e testimonianze che finiscono per rivelare una vita intima dell'imputata inattesa e sconcertante, e rendono difficile discernere la verità.