Una finestra è aperta, fuori piove a dirotto. Una donna sta per suicidarsi. Il suono del citofono la ferma. Un uomo alla porta sostiene di aver prenotato una stanza, anche se sono anni che in quella casa non si affittano camere. Sembra conoscere tante cose su quei luoghi e sul conto della donna. Quando il marito torna, gli altarini crollano. La casa non è cosi vuota come sembra, il figlio dei due è chiuso nella sua camera da mesi e l’uomo non è veramente chi dice di essere.
Dopo i luoghi aperti e dispersi delle Dolomiti del precedente In fondo al bosco - che, visto oggi, nelle ambientazioni, nei temi (senso di colpa e doppelgänger), nei toni e nello stile, è curiosamente anticipatore, quasi alla lettera, di quello che poi è stata la serie Netflix Curon – Stefano Lodovichi ne La stanza, disponibile dal 4 gennaio su Amazon Prime, si chiude in uno studio di posa, in una casa, all’interno di un perimetro ben definito.
Esordisce nei termini di un thriler horror, ma la sua origine è ben più lontana. Il progetto nasce come un documentario sugli hikikomori (giovani che riducono a zero le uscite di casa e i contatti umani non mediati) e si trasforma, in breve tempo, in un piccolo film di finzione low budget, prodotto da Lucky Red e scritto durante il primo lockdown con Francesco Agostini e Filippo Gili. In qualche modo (volontariamente o non, urgentemente o non) il film approfitta dell’improvvisa attualità del tema trattato, astraendolo dal suo contesto più socialmente impegnato e investendolo, non senza una buona dose di forzature, di un respiro più ampio, instaurando una inevitabile, per quanto non del tutto efficace, analogia con i tempi che viviamo.
Allo stesso tempo il film si inserisce nel filone thriller-horror italiano contemporaneo, sui binari di quell’“utopia” che da anni ambisce a un cinema nazionale di genere, anagraficamente giovane e competitivo nel mercato internazionale. Proprio come molti di questi, The Nest (Il nido) tra tutti, La stanza si propone tematicamente come discorso sul rapporto genitori-figli, giocato su un campo ben preciso e ben definito da confini e perimetri diegetici. Se in The Nest (Il nido) è l’ossessione iperprotettiva di una madre che relega il proprio figlio dentro i perimetri fisici di una villa e quelli ideologici di idee e riferimenti culturali obsoleti ma ben manipolabili, qui è invece l’ossessione difensiva di un figlio che si auto sottrae alla “vita fuori dalle mura”, relegandosi dentro varie scale di perimetri: la casa (per gli adulti e per lo spettatore), la camera da letto (per il figlio) e la piccola casetta di cartone all’interno della camera (per la sequenza finale).
Tra l’enorme quantità di riferimenti cinefili (che partono dal buco nel muro di Psyco per poi sconfinare nella furia delirante di Shining, nella casa di Madre! o addirittura in viaggi nel tempo nei quali vigono regole più alla Ritorno al futuro che alla Tenet) e le performance attoriali, evidentemente sopra la media ma ripetutamente a rischio overacting, La stanza si dimostra un prodotto pop che guarda a un certo cinema americano sia nella sua grammatica che nei suoi stilemi, ma che, al di fuori di alcune forzature e scelte frettolose, mostra le buone abilità di Lodovichi alla regia e dei suoi attori (Guido Caprino, Camilla Filippi e Edoardo Pesce). Questo ha il merito di aggiunge elementi alla corrente del thriller-horror all’italiana contemporaneo – che nella sua recente storia ha dato vita a film di certo non privi di problematiche e ingenuità, di limiti produttivi o creativi – proseguendo un cammino che sta andando perfezionandosi, ma la cui “utopia” non sembra ancora del tutto messa a fuoco.
La mattina in cui Stella decide di togliersi la vita, alla sua porta bussa uno sconosciuto che sembra conoscerla fin troppo bene. Quando poi in casa arriva anche Sandro, l'uomo che ha spezzato il cuore di Stella, una situazione già complicata si trasforma rapidamente in caos: Giulio, lo sconosciuto, sembra intenzionato a portare alla luce tutti i segreti della casa.Chi è Giulio? Cosa nascondono Stella e Sandro?