È un’immersione nel ricordo, Magari, il film d’esordio di Ginevra Elkann presentato lo scorso anno a Locarno e ora disponibile in streaming gratuito su RaiPlay, dopo aver mancato l'uscita in sala a causa della pandema di COVID-19. E in quanto tale, vive nella malinconia, nell’autobiografismo, nell’imperfezione e nella distorsione. Quello che la Elkann ci racconta, non è infatti nulla più che il suo passato, visto dal suo stesso punto di vista di bambina di otto anni, con uno sguardo a posteriori per sua natura auto-indulgente, delicato e a tratti lezioso.
Magari, insomma, non è e non vuole essere una storia reale e realistica, ma un pensiero, un flusso della memoria, schiacciato e modificato dal peso del tempo, dalle false prospettive di gioventù, dall’innocenza del passato e dalla nostalgia del presente.
L’alter ego della Elkann è Alma (una molto brava Oro De Commarque) che, con i fratelli Sebastiano detto Seb (Milo Roussel) e Jean (Ettore Giustiniani), trascorre una vacanza natalizia in Sabaudia, nel bel mezzo di un momento per lei – e per loro – epocale: la separazione dei genitori. Una decisione, quella degli adulti, difficile da comprendere agli occhi dei ragazzi – come rivela il fantasticare scenette di matrimonio da parte di Alma – e acuita dalla distanza geografica tra i due genitori: la mamma (Céline Sallette) vive a Parigi col nuovo compagno ed è prossima a un trasferimento in Canada, il papà (Riccardo Scamarcio) risiede a Roma. Una distanza, la loro, che cresce negli ideali – la mamma è profondamente religiosa, benestante, precisa; il papà uno spiantato poco responsabile – e ancora e soprattutto nel linguaggio – francese da una parte, italiano dall’altra.
Due mondi in conflitto, dei quali percepiamo in particolare la sensazione di spaesamento di chi vi si trova nel mezzo: più che alle guerre personali dei “grandi”, la Elkann, in virtù del ricordo, dà allora spazio all’unione dei tre fratelli (lo splendido abbraccio nel salotto dei nonni), al fronte comune, alle esperienze che prendono vita in quello strano limbo. Ciò che conta è il primo amore impossibile e non ricambiato di Alma per un ragazzo del posto molto più grande (che, mediato dal suo sguardo, ci appare di una gentilezza esagerata), è la ribellione adolescenziale di Seb, combattuto tra gli insegnamenti religiosi e la voglia di evadere, tra l’educazione al rispetto e la difficoltà nel riconoscere l’autorità della figura paterna – il padre, d’altronde, chiede al cane se è affamato ma si dimentica di fare la spesa per i figli, non sa prendersi cura dei loro bisogni, non ascolta i loro desideri.
Ciò che conta è la voglia di Alma e dei fratelli, di nuovo, di identificare nel loro nucleo sgangherato, nella non-normalità, nelle disillusioni, nelle aspettative tradite, il concetto di “famiglia”. Ciò che conta sono il gameboy della Nintendo, le giacche a vento della Moncler dai colori sgargianti, Julio Iglesias alla radio: la ricostruzione di uno scenario anni ’80 dai colori saturi e, certo, infantili, che spiccano sulla scelta di una luce sempre tenue del paesaggio marittimo invernale, che manca – e si sente – alla Elkann di oggi.
La memoria è genuina e potente, giocata sulla ripetizione costante di quel “magari”, che più che aprire scenari nuovi e possibili, diventa una sfrontata risposta a tutto quello che non va come dovrebbe (e forse va bene così). Immergersi nel mondo creato dalla Elkann è allora semplice, e a darne la riconferma è, purtroppo, proprio la forzatura che si percepisce nel momento in cui la trama cerca di prendere una svolta “compiacente”, tra incidenti tragicomici vari.
Magari – per usare il suo stesso mantra – accettando la banalità del proprio passato e del proprio ricordo, senza concederlo agli occhi degli altri, come accade negli spaccati in cui il punto di vista passa a Seb o addirittura alle soggettive di Jean, il risultato sarebbe stato migliore.
I tre fratelli Alma, Jean e Sebastiano, si ritrovano scaraventati da Parigi, città in cui vivono nel sicuro ambiente altoborghese della madre, nelle braccia di Carlo, padre italiano assente, anticonformista e incapace di badare a se stesso. Durante le vacanze di Natale al mare con Carlo e la sua collaboratrice Benedetta, i nodi delle tensioni di famiglia vengono al pettine. Carlo dimostra ai figli di essere un padre inaffidabile ma incredibilmente carismatico e – nonostante le sfide e le tensioni quotidiane – la piccola Alma continua a credere fermamente che un giorno, magari, la sua famiglia potrà tornare unita.