I film di Miyazaki vanno guardati entrandoci dentro. Bisogna togliersi le scarpe e avventurarsi a piedi nudi nel suo mondo, fatto di nuvole, paesaggi acquarellati, personaggi dai tratti infantili, con quelle smorfie buffe e i capelli che levitano leggeri sull’onda di un’emozione.
Succede anche in un film come Si alza il vento (Kaze Tichinu), che in parte lascia disorientati per chi è abituato a vedere in lui il cantore dell’immaginazione libera e della meraviglia bambina. Stavolta il maestro dell’animazione giapponese sembra troppo preoccupato di spiegare chi è il suo protagonista, Jiro Horikoshi, progettista di aerei, e la sua storia vera. Sembra totalmente preso dal compito di introdurci nel mondo ermetico dei costruttori di aeroplani (con dovizia di dettagli, disegni, dialoghi didascalici), tradendo l’idea che ci siamo fatti del suo cinema, un esercizio di magia e poesia che trasfigura il mondo, che ce lo fa vedere come appare agli occhi di un bambino (non importa se ancora piccolo o già adulto).
Eppure il mondo di Miyazaki è lì, in tutta la sua bellezza sussurrata, nella sua compresenza di sogno e realtà, è il mondo là fuori che si ostina a contrapporli. Anzi, c’è un protagonista che assomiglia proprio a Miyazaki, con la sua ossessione per il volo, la passione per le macchine e la meccanica, l’ostinata volontà di trasformare i sogni in realtà (attraverso i disegni). Un gioco-sogno infantile che però si realizza in un aereo di guerra (il Mitsubishi Zero) le cui gesta sono tristemente note.
C'è chi ha rimproverato al regista giapponese di aver eliminato il contesto, bypassato la storia, limitandosi a risolvere il dilemma morale (ma c’è un dilemma?) in un “non volevamo questo”. Ma non era quello lo scopo del racconto. Vediamo la distruzione, conosciamo l’equivoco fatale, sappiamo come la tragica realtà finisca per usare e devastare i sogni, ma in questo film-testamento Miyazaki, attraverso la storia di Horikoshi, sembra in realtà voler raccontare la fatica e la bellezza del suo lavoro, la comprensenza di tecnica e visione, il cammino tortuoso che porta un sognatore a creare qualcosa capace di volare (di esistere là fuori).
Kaze Tichinu sta tutto nella mente del protagonista, nel suo sogno ad occhi aperti, e in quella storia d’amore melò (una ragazza incontrata durante il terremoto del 1923 e ritrovata quando era malata di tubercolosi) in cui Miyazaki dispiega il suo magnifico repertorio con la consueta commovente (libera) semplicità. Gli effetti sonori sono sostituiti dalle voci, come si fa nei giochi dei bambini. L’amore tra il progettista e la ragazza si dispiega visivamente e metaforicamente in un gioco con un aereo di carta, nelle sue traiettorie imprevedibili, in quegli slanci (del corpo, del cuore) che rischiano ogni volta di farti precipitare. Ma “quando il vento si alza, bisogna provare a vivere”, correndo il rischio di sbagliare o di perdere ciò che ami di più al mondo.
A volte succede con i film di Miyazaki, e in questo caso (un cartoon "adulto") accade certamente: guardandolo rimani come sospeso, indeciso, poi ti cresce dentro, come se un pezzo di quel mondo (che è solo di Miyazaki, perché la sua arte non ha eguali) ti fosse rimasto addosso.
Jirō Horikoshi è un giovane adolescente. Fa un sogno in cui costruisce un bellissimo aereo che viene però abbattuto da un enorme nave volante. Da quel momento Jirō decide che nella vita costruirà aeroplani seguendo le orme di Caproni, un ingegnere italiano. Il tempo passa e Jirō incontra per caso Naoko durante un terribile terremoto: sarà l’inizio di un rapporto molto speciale.