Strappare lungo i bordi non è altro che una fredda indicazione da medicinale, una promessa di esatta funzionalità: basta seguire il percorso pre-ordinato della linea tratteggiata e saremo soddisfatti. Succede spesso però che qualcosa non vada secondo i piani, e l’esilarante serie animata Netflix firmata Zerocalcare è imperniata proprio su questa discrepanza tra idea e realtà, potenzialità e quotidianità, quello che dovremmo o vorremmo essere e quello che siamo. Il protagonista assoluto è lui, Zerocalcare, che, come nella stand-up comedy, parla direttamente al suo pubblico portandolo dentro a un flusso di coscienza animato che gioca con la temporalità del racconto attraverso una natura pensosa che non ha paura di innestare lunghe digressioni o di tratteggiare connessioni suggestive. Il qui e ora stanco del post-coronavirus cede così il passo ai flashback del Calcare bambino e adolescente, in un continuo pellegrinaggio temporale che grazie al fluire della voce narrante riesce ad assorbire gli stacchi cronologici dentro un’unità di sguardo sulla vita tutta. La narrazione si apre con naturalezza, accetta volentieri le ellissi e le digressioni, si abbandona ai rivoli del ricordo, proprio perché quello che Zerocalcare dice non racconta ma piuttosto combacia con la sua opera (e con la sua vita).
La vicenda, è quindi innanzitutto una riflessione intima sull’esistenza, un monologo malinconico personale ma anche il memoire di un’intera generazione, quella nata a inizio anni Ottanta, bambina durante le stragi di mafia, adolescente negli scempi del G8 di Genova e condannata a una gioventù coattamente protratta dalla crisi di fine anni Duemila. Quello di Zerocalcare rimane però uno sguardo che non si arrende mai agli esiti nichilisti o tragici della iper-pensosità, disinnescati attraverso un umorismo dirompente, a tratti addirittura scioccante, comunque sempre amaramente lucido, crudamente analitico. La narrazione è quindi ansiosa, immediata nel suo bisogno di trovare un’assoluzione ma anche profondamente impaurita all’idea di arrivare una conclusione certa. Per essere più onesti con sé stessi sarà utile allora la coscienza-armadillo con la voce di Valerio Mastandrea, vero e proprio archetipo della serialità comica animata degli ultimi anni che ascrive l’opera nel panorama già istituzionalizzato della comicità animata. L’armadillo, alla stregua del mostro degli ormoni di Big Mouth, del Rick di Rick e Morty o del Todd di Bojack Horseman, è consigliere e contestatore del protagonista, aiutante e al contempo detrattore, proiezione narcisistica volta al commento sarcastico ma anche spalla o sparring-partner.
Zerocalcare però sa anche inspessire il racconto con un realismo metropolitano di derivazione cinematografica che ci porta, tra solitudini passeggianti, in una Roma periferica che pare un sotto-mondo sciatto, pigro e ovattato in cui ogni azione è impossibile se non sotto forma d’imprevisto. Un cric usato male può allora diventare occasione per riflettere sul senso di colpa inconsapevole dell’uomo bianco e sulla società patriarcale, o le ripetizioni si trasformano in pretesto per ricondurre oziosi e gretti adolescenti alla loro natura di emblema della devianza capitalista odierna. La vita più ovvia e routinaria è la risorsa per la più pindarica delle riflessioni, in bilico tra riso e resa e così la cultura di massa, i beni di consumo più diffusi e le ossessioni del cittadino moderno diventano materia per imbastire un discorso sulla debacle culturale di un paese intero.
Strappare lungo i bordi è dunque il tentativo di assoluzione quasi catartica di una way of life, che più che di una generazione, pare appannaggio di un’epoca intera, un’era fondata sull’indefinitezza in cui al trauma della crescita si reagisce ridendo e dissacrando anche la più intima delle malinconie. Zerocalcare è autore, narratore e protagonista delle sue opere, e proprio nel suo punto di vista tutto personale annulla la distanza concentrando nel minimalismo, nell’ombrosità, nell’ipersensibilità del suo sguardo il modo per far fronte a un contesto sociale sovra-stimolante. Per questo Strappare lungo i bordi diventa un breviario esistenziale che non si accomoda nella comicità più chiassosa ma, in quanto racconto tragicomico della crudeltà del libero arbitrio, sa essere irriverente (anche verso il dolore) dando corpo e forma animata alla dissonanza tra noi e i nostri propositi.
Un fumettista romano, la cui coscienza prende le forme di un armadillo, riflette sulla sua vita e un amore mancato mentre con due amici si reca fuori città.