Un maestro elementare nell’Algeria che sta entrando nella guerra di liberazione. La polizia gli affida un arabo, reo confesso di omicidio, che deve essere trasportato alla più vicina gendarmeria. L’uomo non intende fuggire perché affidandosi alla giustizia francese libererebbe la propria famiglia dal circolo delle vendette tribali.
Ispirato al racconto L’ospite di Albert Camus (compreso nella raccolta L’esilio e il regno, 1957), Loin des hommes ribalta l’iconografia della guerra d’Algeria a cui il cinema ci ha abituato: in genere sono i contesti urbani, le vie affollate, i luoghi in cui si svolgono le vicende di questo conflitto raccontati dal cinema.
Nel film di Oelhoffen, invece, fin dalla panoramica d’apertura, siamo in una realtà profondamente diversa, fatta di alture brulle e luoghi poco popolati. È chiaro che il regista francese intende trattare la materia come se si trattasse di un western: l’ambiente sembra essere usato come la Monument Valley fordiana e poi la storia si svolge tra cavalli e pistole, mentre il prigioniero algerino prende il posto dell’indiano e la visita al bordello assomiglia allo sconfinamento oltre il confine messicano.
L’uso di archetipi western in contesti diversi da quelli originari non è una novità: la Sicilia della mafia, ad esempio, è stata più volte trattata come film western (l’hanno fatto, in modi molto diversi, In nome della legge di Germi, Il prefetto di ferro di Squitieri e Salvo di Grassadonia e Piazza). Nel film c’è anche qualche citazione puntuale (nel finale, Viggo Mortensen sulla soglia della scuola richiama la celeberrima inquadratura conclusiva di Sentieri selvaggi), ma il film non si esaurisce certo nel vuoto gioco citazionistico.
Appropriandosi con molta libertà del racconto di Camus (il finale viene modificato in maniera decisiva, i moventi dei personaggi vengono esplicitati, resi meno elusivi, e la storia è integrata con altri spunti ed episodi), il film sviluppa i temi etici che sono centrali nell’opera di questo scrittore. Nelle strutture narrative del western il film trova l’impalcatura ideale per mettere in scena nella sua essenzialità lo scontro tra sistemi morali diversi e l’incontro tra esseri umani che si interrogano sul proprio agire nel mondo.
Il film – nel quale avviene il percorso di avvicinamento e di comprensione reciproca tra due uomini che le identità ascritte collocano lontani l’uno dall’altro – è dunque una riflessione sull’identità, sull’appartenenza e le scelte di campo e sull’impossibilità di sfuggire alla Storia e ai dilemmi che essa pone a ogni individuo: per quanto il protagonista abbia cercato di isolarsi, la Storia viene a prenderlo, obbligandolo a delle scelte. In definitiva, Loin des hommes è un lavoro dall’impostazione originale e condotto con rigore – i tempi dilatati lo rendono poco appetibile per il consumo extra-festivaliero.