L'ultima maschera - 50 anni di Fantozzi

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Non sono tanti i personaggi che sono assurti al soglio dei “proverbiali”. Il ragioniere Fantozzi Ugo è uno di loro.

Al cinema debutta il 27 marzo 1975 (50 anni fa esatti). In realtà, la mente talentuosa di Paolo Villaggio (1932 – 2017) lo aveva già elaborato e fatto esordire in tv (1968), alla radio e soprattutto sulla pagina scritta dove, su intuizione del direttore dell'Europeo Tommaso Giglio, divertiva in una apposita rubrica (1968: chiamata anche La domenica di un impiegato). Nel 1971 alcuni suoi racconti furono assemblati in un volume edito da Rizzoli che venderà oltre un milione di copie (!!!), bissato nel 1974 da un “sequel”, seguito poi nei decenni da altri sei titoli più un audiolibro.

Inevitabile quindi il passaggio sullo schermo, anche se non del tutto liscio come preventivabile: qualche lieve tentennamento sul protagonista, sul regista (inizialmente doveva essere Samperi). Scelti gli attori di supporto, con (intelligentemente) nessun grande nome a sovrapporsi agli stereotipi, il team Benvenuti-De  Bernardi-Salce- Villaggio lavorò ad elaborare alcuni episodi dei due volumi (alcuni fedeli, altri trasformati radicalmente): ad esempio eliminò il personaggio di Fracchia, fondendolo con quello di Filini. Le riprese furono effettuate tra Roma e Courmayeur (la vacanza con la Silvani e Calboni in montagna) per affrontare infine l'esame del pubblico.

I critici (moltissimi) storsero la bocca (ahiloro), per la (supposta) “sciatteria” di qualche episodio e la scarsa uniformità di toni, ma poco importò: fu il più grande successo italiano della stagione (sei miliardi di lire con otto mesi in prima visione) e tutt'ora tra i primi 50 incassi del nostro cinema.

In effetti, visto in retrospettiva, il problema artistico era di prendere soprattutto le misure cinematografiche a un personaggio letterario, a dei racconti ben strutturati e con retoriche fondamentali e non eludibili (l'enfasi, l'iperbole, il commento sarcastico): come rendere al meglio tutto ciò? Il regista, evidentemente in accordo con l'autore, scelse di alternare, nell'inevitabile schema a episodi (Villaggio parla esplicitamente di ispirazione dai cartoon di Gatto Silvestro), quelli dalla comicità farsesca (la partita di calcio, il capodanno, il tennis, la cena al ristorante giapponese) ad altri in cui fa capolino un accenno di malinconia, la critica sociale, il sussulto di dignità, sia pure subito stoppato da qualche catastrofica conseguenza (la cerimonia di Natale in ditta, il biliardo, la conversione all'extraparlamentarismo). Di certo, a rivederlo oggi, oltre a essere ancora esilarante, si apprezza comunque la mano esperta e giudiziosa di un cineasta professionista capace di sensibilità e idee non dozzinali.

Luciano Salce (1922-1989), infatti, è una di quelle figure del cinema italiano cui solo l'abbacinante notorietà dei numeri uno della commedia all'italiana ha impedito di ricevere i giusti riconoscimenti come autore e regista che invece si sarebbe meritato (diversa è la popolarità come entertainer televisivo di ironica souplesse e cinismo che abbiamo imparato a riconoscere ed amare). Il gusto amaro del sarcasmo e della “riprovazione” morale percorse i suoi film, dai più seri (Il federale, La cuccagna, La voglia matta) ai più ridanciani (mai corrivi: Basta guardarla, Vieni avanti cretino, quest'ultimo costruito quasi con lo schema ad episodi di Fantozzi). E proprio con il primo capitolo inaugura una prolungata collaborazione con Villaggio - che sarà con lui negli anni in varie avventure: l'amarissimo Il...Belpaese, Professor Kranz tedesco di Germania, Sì buana (ep. Dove vai in vacanza?), Rag. Arturo De Fanti, bancario precario) - collaborazione che, fattasi la mano sul personaggio e sulle dinamiche,  approderà al da tutti riconosciuto come meglio riuscito Il secondo tragico Fantozzi, 1976. La serie quindi passerà alla regia di Neri Parenti che, sempre in accordo con il divo, lo strutturerà ancor di più verso l'esagerazione e la comicità da cartoni animati.

Soprattutto Villaggio e Salce si trovarono d'accordo sul fatto che Fantozzi era qualcosa di più dell'impiegato sfigato e meschino, il travet cui vanno tutte male. Era anche un'epitome di un carattere italico; ma non solo, un prodotto dell'industrializzazione post bellica, del boom vertiginoso che frastornò una nazione passata velocemente dalla bicicletta alla Fiat (nel suo caso alla Bianchina).

Il “tipo” Fantozzi e la sua tavola rotonda di parenti e colleghi è forse l'ultimo erede di quel filone di personaggi di spettacolo fortemente segnati nei caratteri e persino nei vestiti, quelli della Commedia dell'Arte. Costruiti bidimensionalmente (o quasi) su iperboli e con solo leggere variazioni sul proprio asse, i personaggi della saga hanno replicato se stessi con immutabile (solo appena declinante alla fine, con l'invecchiamento anagrafico) successo per quasi 25 anni. Davvero, estremizzando e contestualizzando, i vari ragionier Ugo, ragionier Filini, geometra Calboni, signorina Silvani, signora Pina, figlia Mariangela, potrebbero essere paragonati ad Arlecchino, Brighella, Colombina, Capitan Spaventa e via elencando, eredi (cum grano salis) di una dimensione popolare di intrattenimento nel fondo più nobile dei lazzi, sghignazzi e fraintendimenti che li ha accompagnati. Di certo più dei vari pur apparentabili colleghi Banfi, Pozzetto, Abatantuono, Boldi/De Sica, Checco Zalone, citando qui solo i più interessanti e vistosi, già più propensi alla commedia di situazione, sia pur nella declinazione più farsesca.

Non per caso Paolo Villaggio ha sempre tenuto a ricordare che “Fantozzi siamo noi”, cioè ognuno di noi è il pover uomo medio angariato sul lavoro e dalla vita, anche se poi tende a paragonarlo “al collega, al cognato, al vicino, a chiunque ma non a lui”. A suo modo, Fantozzi è una satira di uno status di sfruttamento e mortificazione sociale dai rivolgimenti intestini pre-rivoluzionari o almeno ribellistici, simile in questo – come diceva il poeta Evtuschenko nella testimonianza riportata spesso dal divo, magari con un certo livore e compiacimento anti establishment – ai personaggi del sommo russo Gogol.