Cent'anni, centocinquanta film, un milione di sigarette

Marcello nostro

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Il 28 settembre (anzi il 26 ma fu registrato all'anagrafe solo due giorni dopo) di 100 anni fa nasceva Marcello Mastroianni. Il nostro attore più famoso, iconico e amato nel mondo, impossibile da chiudere in uno schema, in un titolo, in una poetica, perché le ha provate e condivise tutte. Nell'ultimo numero da poco uscito di Cineforum gli abbiamo dedicato un focus speciale a cura di Maurizio Porro, di cui per l'occasione riportiamo qui un breve estratto.

 

 

Marcello nostro

Cent'anni, centocinquanta film, un milione di sigarette

 

Marcello, come here… hurry up. Passa e trapassa così, chiamato da Anita Ekberg in lungo e a bagno nella Fontana di Trevi, il nostro Marcello Mastroianni, nella scena felliniana della Dolce vita, la più famosa della storia del cinema. Quasi quasi si baciano se non fosse che il tempo albeggia, si chiude l’acqua con le ultime gocce al ritmo delle sgocciolanti note di Nino Rota. Per questo film, il primo di tre ore del cinema italiano, voglio una faccia qualunque, insisteva Fellini, che aveva rifiutato Paul Newman e che con Marcellino iniziò, un giorno sulla spiaggia di Fregene, una profonda amicizia «basata su una bella e reciproca sfiducia». Santo humour: una serata con loro due è un salvavita.

Eh sì, il 28 settembre Mastroianni, l’attore che fumò in settantadue anni un milione di sigarette (come media al giorno lo superava solo Visconti), avrebbe cento anni, anzi li ha, perché nessuno è più immortale di lui, nato ciociaro a Fontana Liri, provincia di Frosinone, a due passi da Cicerone.

Più o meno ha girato centocinquanta film in tutto il mondo, lui dice centosettanta nel documentario di Anna Maria Tatò Io mi ricordo, sì mi ricordo, testamento in presa emotiva diretta girato nell’estate ’96 tra i monti dello scosceso Portogallo e poi sul fiume di Oporto, quasi sotto il ponte Eiffel, sul set dell’addio con De Oliveira. Con loro festeggiò anche l’ultimo compleanno con tanto di torta e candeline scoppiettanti e il coretto di «Feliz aniversàrio». 

Un bambinone bugiardo

Caro Marcello, che tutta la vita ha amato questo mestiere, iniziato a undici anni in un film col cantante Beniamino Gigli, Marionette, perché gli permetteva di restare sempre un bambinone bugiardo che riceveva applausi: le bugie sono i film e pure il teatro, ovunque potesse con la menzogna raggiungere la verità.

Un potere seduttivo gestito con armi semplici e antiche, l’aria un po’ annoiata, con sbadiglio incorporato, ma da bravo ragazzo, lo sguardo che poteva diventare intenso e malinconico come in una inquadratura (un frame per essere chic) della Dolce vita, quando al night col padre guarda con rassegnata tristezza il clown Polydor coi suoi palloncini al seguito. È uno sguardo che riassume la sua capacità espressiva che ha conquistato il mondo.

Perché Marcello era amato ovunque, lo era a Roma, dove le turiste in bus si fermavano sotto la sua villa sull’Appia antica per avere la sua benedizione, ma era Marcello anche a New York, a Chicago dove per tre mesi si fermò a girare Permette? Rocco Papaleo con Scola, non pagato, è Marcello a Parigi dove recitò in francese diretto da Peter Brook un testo boulevardier ed ebbe casa e famiglia con Catherine e Chiara. Era Marcello ovunque lo portassero le avventure della sua lunga carriera, in Brasile, in Grecia, Urss, Inghilterra, Germania, Argentina, nell’amata Budapest, riuscendo a parlare il greco o il russo senza saperne una parola. Fu il più zingaro e girovago del nostro parco attori, altro che pigrizia, qualche sonnellino nella roulotte: viaggiava pigramente, che ossimoro, senza fermarsi un attimo, specie agli inizi di carriera quando entrava in un film il sabato e ne usciva al lunedì. […]

Pigramente latin lover 

[…] Fu il gran Federico a eleggerlo latin lover nel kolossal della ricostruita via Veneto allo Studio 5, con la storia di questo giornalista di gossip (ma che articoli avrà mai scritto?), mentre l’autore profeta ci mostra, finendo con un mostro marino, i trailer dell’Italia che verrà.

Marcellino, lui, figlio di una impiegata (collega della sorella di De Sica… ecco le sliding doors) e un artigiano del legno il cui profumo gli rimase addosso, oltre che fratello di un grande montatore, Ruggero, con cui fece Scipione detto anche l’africano e nipote di Umberto, uno scultore di fama, nonostante tutto proprio latin lover non si sentiva. Ma il film di Fellini, che ebbe quindici milioni di spettatori nel ’60, nessuno lo batterà, lo segnò per sempre. Ma la storia del cinema, anche sociologicamente parlando (nessun film ebbe il clamore pazzesco della Dolce vita quando uscì) si divide tra ante e post il capolavoro felliniano da cui Snaporaz (così lo chiamava con linguaggio da fumetti il regista riminese) uscì con l’aureola del seduttore e il lasciapassare per diffondere illusioni e speranze di Fellini, di cui rimane il depositario autorizzato. […]

Il gioco del teatro

[…] Mastroianni fu una presenza cui il pubblico si abituò, con un talento capace di sintonizzarsi sulle personalità di registi così diversi, anche se lui riconosce come primi compagni di banco Emmer e Monicelli. Marcello si divertiva, giocava (il famoso to play, recitare in inglese), lo considerava il mestiere più bello del mondo. E nelle interviste pagava volentieri il suo debito agli insegnamenti di Luchino Visconti che l’aveva notato in spettacoli del Centro Universitario, con la Masina, e quindi svezzato col suo teatro in spettacoli indimenticabili di Williams e Miller (Un tram che si chiama desiderio, Morte di un commesso viaggiatore), facendolo combattere corpo a corpo con(tro) gli endecasillabi di Alfieri quando recitò Oreste e la sera primaverile della prima, il 9 aprile del ’49 romano, per paura, si chiuse in bagno e fu Vittorio Gassmann a prenderlo per la collottola e portalo in scena. […]

Il gioco del cinema

È bello e giusto ricordare un attore così, un pezzo unico, ma è difficile riassumerlo, tanti sono stati i capitoli di cinema di cui si è reso protagonista: chi sono stati in Italia quelli che l’hanno preso sotto l’ala della propria ispirazione? Di Fellini fu l'alter ego in , il film più bello del mondo e quello cui l’attore era più affezionato, ma senza mai darsi arie, era di una affabilità e di un’umiltà genuine, non artefatte. Rimase famoso il primo incontro tra i due, quella famosa volta in cui il regista, con Flaiano, gli diede appuntamento per proporgli La dolce vita (ma sarà davvero la dolcezza di vivere prima della rivoluzione?) e non avendo copione illustrò il soggetto con uno dei suoi disegni, un uomo che nuota in mare con un pene enorme che tocca il fondo. Il pudico Marcello arrossisce e accetta senza sapere di entrare nella storia. […]