Nato nel 2021 come cortometraggio e diventato, man mano, un progetto più complesso e articolato, anche in vista dell’80° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, Venti mesi - Storie di Resistenza nel Medio Piave di Michele Angrisani (2024) è la ricostruzione dei principali momenti della Resistenza nel Medio Piave, vale a dire nella zona a Nord Est della provincia di Treviso, tra la città e il fiume. Si è trattato di una resistenza “di pianura”, contadina e operaia, nata sul piano sociale, da gruppi soprattutto comunisti, con uno sciopero (quello degli operai della cartiera Burgo di Mignagola, nel marzo del ‘44) che doveva essere “insurrezionale”, e divenuta poi, dal settembre dello stesso anno, dopo i rastrellamenti nazifascisti dell’altopiano di Asiago, del Monte Grappa e del Cansiglio, una lotta di appoggio alla Resistenza che si continuava a fare in montagna, e a quella di città. Guerra civile quindi, secondo la definizione di Pavone, fatta in questo caso da “gente semplice”, operai e contadini; citati, questi ultimi, anche per il sostegno che hanno dato, oltre che ai partigiani, ad ebrei che dovevano essere nascosti, per intercessione di membri del clero.
Il titolo, Venti mesi, ha a che fare con il tempo della Resistenza italiana (settembre 1943 – aprile 1945) ma il sottotitolo, riferendosi al Medio Piave, ne richiama i luoghi, circoscrivendo il campo e definendo il film come una ricognizione di luoghi evocatori di memoria: filari di vitigni, case coloniche abbandonate, “grave”, corsi d’acqua, boschi ripariali ma soprattutto campagne, casolari, colline in lontananza e le rive del Piave, un fiume che custodisce una memoria storica importante e che è stato tra l’altro, con altri scopi, l’oggetto dell’ultimo spettacolo itinerante di Marco Paolini, Mar de Molada (autunno 2024), diventato film, con lo stesso titolo, per la regia di Marco Segato (2025). Visivamente e narrativamente, la pianura diventa qui il filo conduttore di un racconto corale che intreccia le generazioni, a partire dal gruppo di ragazzi che, con l’ambientalista Fausto Pozzobon, attraversa in silenzio quel territorio, per arrivare a coloro che, da ragazzi, hanno dovuto fare delle scelte inderogabili, gli ex partigiani; passando per le parole degli storici Ernesto Brunetta e Lucio De Bortoli, guide autorevoli di questo percorso. Che è complesso, sì, ma esaustivo e piacevole da seguire e soprattutto intenso e denso di storie (grandi e piccole) e di persone. Spesso intrecciate abilmente tra di loro, con un ritmo serrato ma disteso e sereno; il ritmo necessario alla comprensione.
Per cui c’è la giovane presidente dell’ANPI di Carbonera, Camilla Andreuzza, che legge dei passi da I miei ricordi di Luigi Pagotto, nome di battaglia Romi, comandante della Brigata “Ugo Bottacin”, che è un po’ il filo conduttore attorno a cui ruotano le altre figure citate (Giuseppe Foresto, Roberto Polo, il segretario provinciale del PCI Pietro Dal Pozzo, Luciano Rigo, Antonio Danieli, il diciassettenne Olivo Bredariol) e le storie che le riguardano; c’è l’ex partigiano Luigi Corbanese (democratico cristiano, Brigata “Badini”); c’è il figlio di Bruna Fregonese, Diego Agnoletto, che parla delle staffette partigiane, e Bruna è mostrata in due stralci di Con i messaggi tra i capelli di Chiara Andrich; viene citato Don Giovanni Simeoni, rettore del collegio Pio X di Treviso, che nascose molti ebrei presso le famiglie contadine della zona (una fu quella di Gioacchino Campagnolo, ricordato dal figlio) e ora è un “giusto tra le nazioni”; ci sono episodi particolari narrati da due storici locali; ma soprattutto c’è Sonia Foresto, figlia del Giuseppe sopra citato, che racconta tante cose nominando, anche, i fratelli Antonio ed Elisa Campion, lei immortalata in una famosa fotografia della liberazione di Venezia. E tante, tante foto che ritraggono queste persone che, come dice Bruna Fregonese, hanno fatto la loro parte e sono quindi in pace con se stesse. Per questo il film si conclude con i giovani, i cui volti, in modo forse un po’ retorico, rappresentano la continuità con il passato in termini di libertà e democrazia, a suggellare il rapporto strettissimo tra Resistenza (quindi antifascismo) e Costituzione.
La ricchezza di piani narrativi, oltre che di eventi e di figure di questo documentario, si dipana in ordine cronologico toccando vari momenti e aspetti della Resistenza nel Medio Piave: l’inizio (collegato agli scioperi degli operai della cartiera Burgo, che diventa il centro operativo di questa “Resistenza di pianura”); i rastrellamenti del settembre ’44 e la “pianurizzazione”; il rapporto con gli Alleati e quello con il territorio; il ruolo della Chiesa, legata alla parte moderata della Resistenza; le torture e le uccisioni dei partigiani catturati dalle Brigate Nere, visti come banditi e traditori della patria, da annientare; la fine della guerra, i tribunali per i crimini del fascismo, le vendette personali. E in quest’ultima parte risiede un altro motivo di interesse dell’opera, che affronta in modo neutro, cercando di spiegarli e quindi di farli comprendere, alcuni episodi controversi della Resistenza, legati a quella “lotta di tutti contro tutti” che, in un clima di odio esasperato che oggi è difficile capire, anche perché legato a motivazioni ideali oltre che politiche, ha portato, alla fine del conflitto, a regolamenti di conti che poco avevano a che fare con il rispetto delle leggi di guerra e con i tribunali che pure erano stati istituiti; uno di questi accadde proprio alla cartiera Burgo. Sottolineiamo per finire la documentazione storica, con materiali inediti acquisiti grazie alla collaborazione di ANPI, Istresco, SPI CGIL Treviso, Istituto Geografico Militare, CASREC e Dipartimento di Geografia dell’Università degli Studi di Padova, Archivio Aamod, FAST e Associazione rEsistenze.