Un noir in piena regola, Fuochi d'artificio in pieno giorno, eppure...
C'è il detective perennemente sbronzo, sconfitto dalla vita, deluso dall'amore, solitario, dopo aver visto morire i colleghi in una tragicomica sparatoria à la Coen, eppure capace di virate giocose, quasi di ribellione infantile, e di accenti di humour nero, nei suoi movimenti spesso impacciati e ostinati.
C'è la dark lady, che più pallida, ordinaria e dimessa non si può, addirittura impiegata in una squallida lavanderia e quasi sottomessa al capo; femme fatale, pare, suo malgrado.
C'è l'amore tra lei e il detective, fatto di carne e tensione, attrazione e repulsione, in grado però di accendere di luci quasi surreali una provincia settentrionale cinese bianca come il ghiaccio e la neve in cui è avvolta, e nera come il carbone estratto dalle sue miniere.
È quindi lo scarto dalla regola a determinare identità e qualità di un film che gioca col genere nel momento in cui sembra volerlo incarnare appieno.
Ci sono cadaveri smembrati, anche, false piste, indizi sospesi, tutti elementi che in realtà sembrano non contare granché. Persino le rivelazioni arrivano, una ad una, sottotono, come scivolando senza voler fare clamore. Gli ingredienti del noir, pur abilmente composti, sembrano dunque un pretesto per qualcosa d'altro.
Ogni mistero ed enigma del caso e del rapporto fra i due protagonisti trova infatti espressione e sintesi nell'alternarsi di immagini nitide, interamente a fuoco, in cui viene sfruttata appieno la profondità di campo, ad altre soffuse, caratterizzate dallo scivolare delle luci soprattutto su di lei e sulle strade di una provincia ghiacciata e desolata che diventa incredibilmente "bella". In essa, la solitudine disperata dei personaggi si fa specchio della realtà cinese, e la tessitura noir, con la sua dimensione melodrammatica, non è priva di elementi di analisi sociologica.
Nel film di Yinan Diao sembra in definitiva contare lo specifico filmico. Magistrali sono i movimenti di macchina a precedere e seguire i personaggi: lei sui pattini che scivola quasi al ralenti, con levità, e porta lontano il detective, quasi fosse per lei una condanna più che una scelta; da antologia l'ellissi temporale magnificamente condotta dalla macchina da presa che inizialmente pare montata all'interno di un'auto mentre esce dal tunnel, vede e supera un corpo steso a terra - un altro cadavere? -, per poi tornare indietro e inquadrare quello che in realtà era il portatore dello sguardo precedente, il conducente di un motorino scassato, impietoso falso soccorritore.
Resta indelebile la fotografia di Don Jinsong, che permea tutto il film e, fra le altre, la sequenza lentissima e ipnotica in cui sul volto di lei - minuto e ampio al tempo stesso, che pare disegnato apposta per restituire i dubbi dello spettatore, per essere tela su cui proiettare luci e ombre - si alternano i riflessi caldi delle lampadine del luna park e quelli glaciali dell'inverno cinese, nella sospensione di un posto fuori dal mondo, da dove però si vede tutta la cittadina, tutti i luoghi che sono stati toccati e disseminati di prove, dal locale al centro del mistero, alla lavanderia poco distante, alla pista di pattinaggio.
Le prove, in realtà, di un amore interrotto da una cerimonia quasi macabra, surreale, liberatoria.
Cina settentrionale, estate 1999. L'ispettore Zhang indaga sul caso di un cadavere fatto a pezzi i cui resti vengono rinvenuti in diverse fabbriche di carbone della provincia. In seguito a un inaspettato conflitto a fuoco in cui perdono la vita due colleghi, rinuncia però a proseguire le indagini, e viene trasferito in una fabbrica come guardia di sicurezza. Nell'inverno 2004, Zhang è un uomo disilluso, psichicamente provato e facilmente incline all'alcool. Quando un suo amico poliziotto gli riferisce di un caso analogo a quello di cinque anni prima, Zhang vede la possibilità di affrontare i fantasmi del passato e riscattarsi come uomo.