Quarantasette anni sono trascorsi da Teorema, alla cui uscita un fattore di novità – quello che ne ha mantenuto inalterata la freschezza – era la semplicità con cui l'autore (s)colpiva la sfera borghese attraverso l'inaspettata apparizione di una figura “angelicata.” Sino a porre in dubbio le supposte sicurezze del sistema vigente, e farne strame non appena tale presenza svaniva.
Sorvolando sull'espediente della fisionomia dell'ospite, dalla bellezza in linea con quella dei numerosi giovani volti ribellisti dell'epoca (ed era la norma in tempi di rivoluzione e barricate), il tessuto nodale de La bella gente – nemmeno il titolo è casuale – parrebbe riecheggiare il capolavoro di Pasolini, aggiornato, come lecito, ai tempi odierni (ma il modello strizza l'occhio anche a Maselli). Ivano De Matteo inscena il dramma di una coppia borghese alle prese col dilemma degli ideali ormai azzerati: un nuovo gruppo di famiglia, fotografato sia all'esterno che all'interno. L'occasione per mettere in discussione la buonafede socio-ideologica, sulla falsariga di un nostrano Indovina chi viene a cena?, deve misurarsi con un altro inevitabile elemento: l'arroganza del ceto medio, sedicente democratico, che non rinuncia agli agi e alle comodità, alla villa con piscina o al domestico di colore.
Le questioni di comodo sono il riverbero di fronte a cui si ritrova la protagonista, impegnata in un'agenzia di assistenza contro l'abuso sulle donne, realizzando troppo tardi di non poter tornare indietro. Come l'ospite, la giovane prostituta ucraina Nadja-Viktorija Larčenko, è accolta da un demiurgico angelo che la trasforma in una figura, a sua volta, angelica, ignaramente destinata a palesare il caos calmo di un assetto superiore al suo, indotto a fare i conti con le proprie contraddizioni.
Pure senza l'utilizzo di simbolismi visivi, De Matteo disegna un emisfero permeato di bellissimi giardini e di ville sontuose, dove la bella vita non manca – ma lo spettatore deve attendere un bel po', prima di vedere stampigliato il titolo del film sullo schermo. L'eguale emisfero che, dietro le lenti rossastre di un paio di occhiali da sole, svelano la mostruosa deformità di un climax pronto a guardare l'estraneo come un'ineludibile vittima sacrificale. Dall'alto in basso Nadja viene trattata dagli arricchiti amici di chi le garantirebbe aiuto, senza che i propri filantropi facciano granché per assumerne le difese. E non manca chi, a conoscenza della sua origine, le chiede se le occorra del denaro.
La bella gente giunge con sei anni di ritardo nelle sale italiane, dopo aver fatto il giro del mondo tra festival e rassegne internazionali. Ma non è difficile carpire il motivo di questo ritardo o la sua fugace distribuzione in sala dopo la pausa estiva: si tratta di un apologo conciso e cattivo, teso a raffigurare la metà buonista di un certo partito – ebbene sì, quello attualmente in carica – e quella più sincera e classista, celata tra le pieghe e pronta ad esplodere per una relazione, pulita sulla carta, alterata dagli equivoci del caso. Ma anch'essa si rivela un interessato egoismo che condanna la giovane alla solita condizione. Un inusuale mélo che guarda pure a un altro cineasta, che della quotidiana sofferenza verso sé stesso e l'ambiente circostante ha fatto una cifra priva di perifrasi: Fassbinder (per più di un verso, La bella gente riecheggia il dolente La paura mangia l'anima). E già lo sgradevole ruolo di Flaminia-Myriam Catania, fidanzata di Giulio-Elio Germano, è lì ad asserirlo, e non solo quello.
Grande apprezzamento va a un cinema, il nostro, ancora capace di offrire aneddoti simili senza ricorrere ad ambizioni o a pindarici voli. Un cinema medio, certo, che da tempo non riesce a trovare, né probabilmente troverà un pubblico disposto a seguirlo, perché non più disposto a pensare (il ceto che De Matteo condanna) e che rifugge, come la coppia protagonista, dalle proprie remote paure e insicurezze. Una volta allontanata la ragazza, il quadretto conclusivo della coppia Alfredo-Susanna, che torna a sorridere come nell'incipit, fa pensare che l'aiuto non sia stato altro che una trovata per rinfocolare il legame e optare per una via più vantaggiosa.
Ma Nadja non va veloce come Vesna: quest'ultima non risaliva sul pullman turistico, optando per una condizione di prostituta per sopravvivere in Italia, laddove non è dato sapere se l'ucraina de La bella gente sale su di un treno. Anomalo horror in sottrazione sullo scontro di classe, giustamente il film di De Matteo si sospende al livello di un ambiguo quid, deleterio come il gioco velleitario, divenuto via via pericoloso, di Susanna e Alfredo (del quale pure la recitazione della Guerritore, di estrazione teatrale, è studiato coefficiente). La presenza di camera car dalla guida invisibile, che non si frena all'effetto sorpresa per cui Nadja finisce spaventata vittima, o l'insistenza della m.d.p. sulla soglia di casa dei protagonisti non possono non far presagire qualcosa di sinistro. Ancora si avverte una presenza, mentre il treno, terminati i titoli di coda, si allontana sfumando in una sfocatura...
Alfredo è un architetto. Susanna una psicologa. Gente di cultura, gente di ampie vedute. Cinquantenni dall'aria giovanile, dalla battuta pronta e lo sguardo intelligente. Vivono a Roma ma trascorrono i fine settimana e parte dell'estate nella loro casa di campagna all'interno di una tenuta privata. Un giorno Susanna, andando in paese, resta colpita da una giovanissima prostituta che viene umiliata e picchiata da un uomo sulla stradina che porta alla statale. In un attimo la vita di Susanna cambia, ha deciso che vuole salvare quella ragazza. Salvarla per salvare i propri ideali.. |