Alla mia piccola Sama è solo un piccolo film, una lettera aperta di una giornalista siriana alla figlia nata sotto l’assedio dell’esercito di Assad, ma ha il merito di trasformarsi progressivamente nell’incalzante testimonianza del massacro di un intero popolo. La sua forza è l’allargamento della dimensione intima e affettiva in un dramma universale, perché riesce a screziare i toni affettuosi di un home movie con le cadenze tonanti e terrorizzanti di una sanguinosa guerra civile in corso, in cui il rosso del sangue è il colore dominante, talmente presente da farsi cromatismo ossessivo, anche quando gli occhi si chiudono nel tentativo di allontanare per un attimo da sé la costanza della tragedia.
Le due dimensioni, quella tenera e personale e l’altra, più ampia e politica, sono legate da un’urgenza, ossia come mantenersi umani, passionali, pur essendo calati brutalmente in un dramma collettivo, peraltro già raccontato da documentari come Of Fathers and Son di Talal Derki (2017), Cries from Syria di Evgeny Afineevsky (2017) oppure Still Recording di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub (2018), ognuno con una sua pretesa di obiettività.
Alla mia piccola Sama possiede invece una natura soggettiva e nasce da un impulso personale della regista Waad Al-Kateab (che firma il film con la supervisione di Edward Watts), ex studentessa di economia, poi autrice di reportage dalla sua terra dilaniata e ora collaboratrice del canale inglese Channel 4, che produce il film. La sua è un’estetica che si sottomette all’istinto per attestare in circa 500 ore di girato l’illusione di un’altra Primavera araba, iniziata nel 2012 e poi tramontata in un conflitto interno con decine di fronti aperti e gruppi l’un contro l’altro armati. Il tutto condensato in poco più di un’ora e mezza organizzata in un andirivieni di tempi diversi, non cronologicamente consequenziali, perché si rincorre il flusso dell’anima, non s’intende perseguire un intento didascalico.
Alla mia piccola Sama gioisce per una nascita, sostituendo i parenti delle consuete foto intorno a una torta con candeline con i feriti e i sopravvissuti ai bombardamenti e alle esplosioni. In questo album di famiglia con natura morta di una città (Aleppo) sullo sfondo, le azioni, le reazioni e le percezioni fanno tutte parte di un enorme affresco grottesco in cui gli estremi coesistono: la vita con la morte, i giochi con le pozze di sangue, le smorfie infantili con i colpi sordi delle bombe.
La piccola Sama, amata e vulnerabile, è l’epitome di un’intera infanzia ferita, l’immagine di un mutamento radicale e mostruoso nella percezione umana, che rende ordinaria la violenza del tempo, a causa della quale appare perfettamente naturale che la bambina gattoni tra le vittime dell’ospedale in cui il padre è chirurgo e la madre è rifugiata oppure che i suoi innocenti sorrisi nel sonno non siano minimamente disturbati dal boato delle bombe fatte esplodere dalle milizie di Assad.
Waad osserva e cattura tutto. Non arretra di fronte a niente. Quello che altrove diventerebbe invadenza o increscioso voyeurismo, oppure addirittura abiezione, secondo quel lessico rivettiano che è diventato l’autentico metro di valutazione etica sull’ostensione di un’immagine, in Alla mia piccola Sama è un grido di aiuto al pubblico internazionale proposto sotto forma di shock visivo. Waad insegue l’orrore, vi ci indugia, perché abietta è la realtà di un popolo allo stremo, non la portata dell’immagine che lo significa.
La sua intenzione evidente è cancellare totalmente la distanza che nell’opinione pubblica occidentale hanno le immagini del conflitto in Siria desunte dai notiziari televisivi, con tutta l’assuefazione che ne può derivare. E qualora il dubbio di liceità dovesse ancora investire qualcuno, Waad ottiene una sorta di legittimazione morale quando la madre di un bambino ferito la esorta urlante, rivolta verso l’obiettivo della sua camera, di continuare a filmare affinché tutti sappiano che cosa stanno patendo i siriani e quale sia il loro carico di dolore.
Perché Alla mia piccola Sama è sì un documento di denuncia difficile da sostenere per la sensibilità umana, ma è principalmente un duplice atto d’amore (per una figlia, per una terra) intimamente connaturato all’eventualità della morte nel coraggioso tentativo di esorcizzarla.
n viaggio intimo nell’esperienza femminile della guerra, una lettera d’amore di una giovane madre a sua figlia. Il film racconta la storia di Waad al-Kateab attraverso gli anni della rivolta di Aleppo, in Siria, quando si innamora, si sposa e dà alla luce Sama, il tutto mentre intorno esplode il conflitto.