Come fosse il controcampo di Kirikù, il nuovo film di Michel Ocelot parte da un villaggio indigeno, un esotismo finto, ricostruito, offerto allo sguardo curioso della Parigi di inizio Novecento. Uno zoom all'indietro scavalca il confine tra i due mondi e finisce per ribaltare la prospettiva: non siamo più noi a osservare un mondo lontano, con l'occhio stanco di chi ha già visto tutto, messo di fronte alla meraviglia di un luogo magico, ma è il nostro mondo ad essere guardato, anzi, rianimato dallo stupore di una bambina uscita da quella dimensione incantata (che è poi anche quella di Azur e Asmar). O meglio, lei non guarda il presente dell'Europa, ma la sua essenza, la sintesi simbolica, artistica, letteraria, la Parigi della Belle Époque, per ricordarci che bisogna scegliere tra «una società aperta dove uomini e donne crescono insieme, facendo ognuno del proprio meglio, e una società chiusa dove metà della popolazione calpesta l'altra» (parole di Ocelot). Sì, perché il film del regista francese, così gentile e raffinato, così incantevole, è tutt'altro che innocuo.
Parigi è funestata dai Maestri del Male, che rapiscono le bambine e usano le donne come sgabelli (letteralmente), ricoprendole con un tessuto nero. Ma l'unica in grado di opporsi a questo orrore sembra la piccola mulatta Dilili, uscita dalla cartolina-villaggio, troppo bianca per la Nuova Caledonia e troppo nera per Parigi, che parla un francese forbito e si aggira per la città insieme al giovane fattorino Orel. Sembra quasi di essere dentro Midnight in Paris di Woody Allen, quell'atmosfera sognante, in un susseguirsi di personaggi mitici (più di cento) da Picasso a Proust, da Ravel a Rodin, e poi Renoir, Debussy, Pasteur, Marie Curie, i Lumière, Toulouse-Lautrec, la cantante d'opera Emma Calvé e la grande Sarah Bernhardt.
Parigi è una favola, ma reale. È la vera Parigi - fotografata per quattro anni da Ocelot – attraversata dai fantasmi animati di quel mondo fatato, e dallo sguardo acuto, vergine, pieno di curiosità della piccola Dilili, che ha la saggezza e l'impertinenza di Kirikù, quel modo insieme alieno e pieno di buonsenso, arcaico e modernissimo, di porsi di fronte al mondo e ai suoi problemi. L'effetto è stupefacente. Quelle figurine colorate (in 3D, ma stilizzate) che si spostano dentro piani medi e lunghi, con Parigi sullo sfondo, la città che tutti conosciamo, ma anche quella sotterranea, le fogne della città, anche luoghi dimenticati, ristoranti d'epoca, i musei di Carnavalet e Quai Branly, angoli suggestivi e scorci “(stra)ordinari”. Non è un banale album fotografico, è davvero una rivelazione, un altro sguardo che diventa il nostro, dentro una storia in cui si intrecciano i due temi – la paura del diverso e la violenza degli uomini sulle donne - mentre ci imbattiamo in invenzioni alla Julius Verne e descrizioni alla Victor Hugo, meraviglie Art Nouveau e una barca a forma di cigno (quella di Ludovico II di Baviera). Ciò che rischierebbe di diventare lezioso, grazie a Dilili risulta prima vagamente esotico («avete degli strani costumi») e poi super-reale. Intanto le donne, tutte «principesse, regine, fate», organizzano la ribellione al potere del Male, nel nome della libertà di creare, ridere, cantare, diventare se stesse, ma anche solo ritrovarsi in un bar a chiacchierare.
Nella Parigi della Belle Époque, con l’aiuto di un giovane fattorino, la piccola canaca Dilili indaga su una serie di rapimenti misteriosi in cui sono coinvolte alcune bambine. Nel corso delle indagini i due amici incontreranno personaggi straordinari che li aiuteranno, fornendo gli indizi necessari per scoprire il covo segreto dei Maestri del Male, i responsabili dei rapimenti.