Adrian Sitaru

Fixeur

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Nel 2016 Adrian Sitaru ha realizzato due film: Illegittimo, presentato in febbraio alla Berlinale e Fixeur passato invece da Toronto a settembre. Entrambe le opere, che hanno avuto destini e percorsi diversi, escono in contemporanea in Italia per merito di Lab80 Film. Una precisa scelta distributiva che permette finalmente di conoscere meglio, anche qui da noi, un esponente importante e decisivo di quella straordinaria generazione di registi romeni nati fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.

Ispirato a fatti realmente accaduti, Fixeur racconta la storia di Radu, un giovane giornalista di Bucarest che collabora con un’emittente televisiva francese. Quand’egli, a margine di un’inchiesta giornalistica su un giro di prostituzione minorile tra Francia e Romania, riesce a entrare in contatto con Anca, una prostituta sedicenne appena rimpatriata, tenta di mettere in piedi un reportage sull’argomento proponendosi come mediatore e aiuto logistico (un fixeur appunto) per i colleghi transalpini. Radu, disposto a tutto pur di confezionare il servizio e far colpo sui colleghi, deve però fare i conti con il grado di manipolazione, sfruttamento e vero e proprio abuso cui la pratica giornalistica, in certi casi, è in grado di spingersi.

Il film è basato in parte su un lavoro introspettivo di Sitaru intorno al mestiere del regista e su una riflessione sul rapporto fra l’arte e la vita. Il corto Art (2014), precedente a Fixeur ma pensato e realizzato a margine della lavorazione del lungometraggio, non a caso mette in scena la storia di un ambizioso regista che cerca di convincere una madre a lasciare che la figlia minorenne interpreti il ruolo di una prostituta in un film “d’autore”. Anche qui il regista, come Radu, ad un certo punto comincia a fare i conti con la propria coscienza e con lo scoglio morale rappresentato dalla determinazione nell’ottenimento dei propri scopi e i mezzi tramite i quali ottenerli.

È chiaro quanto sia stata lunga e meditata quindi la scelta di fare un film dove il ruolo del mediatore (in Fixeur si tratta di un giornalista e in Art di un regista, ma la questione riguarda evidentemente entrambi i casi) è messo sotto analisi. Si chiede, Sitaru, se esistano limiti (etici, morali) oltre i quali non è possibile spingersi nemmeno in nome dell’arte; quale sia il confine tra il dovere di raccontare (o mettere in scena) e il bisogno egoistico di farlo; fin dove è lecito chiedere a una persona di mettersi a nudo – emotivamente, ma anche fisicamente – davanti all’obiettivo di una macchina e ancora quanto l’ambizione e l’impegno per ottenere un risultato possano trasformarsi in gesti manipolatori benché spinti dalle migliori intenzioni.

Restano, ovviamente, domande senza risposta queste, ma aiutano a riflettere sul ruolo sociale – oltre che culturaledell’immagine. La relazione fra i media e le immagini e l’etica nel trattare queste ultime è infatti una materia che riguarda aspetti che vanno ben oltre le questioni morali legate all’uso e ai comportamenti degli organi di informazione. Ha a che fare con le complessità legate al rapporto fra pubblico e privato (che troviamo anche in Illegittimo ed è un tema ricorrente del cinema di Sitaru). Ma Fixeur è anche un’opera che ragiona sulla politica delle immagini (che sono messe al centro del discorso e si sostituiscono/sovrappongono all’individuo) e sul loro ruolo sociale: la loro fallibilità e sui modi che abbiamo di guardarle, percepirle, dotarle di significati.

I difficili temi di cui il film tratta, sono inoltre perfettamente veicolati dallo stile che il regista utilizza e mette in campo. Attraverso lunghi piani sequenza e un alternarsi di interni ed esterni Sitaru riesce perfettamente a rendere – attraverso i luoghi che esplora – il senso di smarrimento sotteso alla vicenda. E il film, che narrativamente si snoda come un viaggio, esplicita anche il legame fra individuo e territorio: la Romania diventa quasi una terra inesplorata, che bisogna imparare, prima di tutto, a guardare. Concetto sottolineato da quell’inquadratura che ruota in una panoramica di trecentosessanta gradi al centro della piazza del villaggio dove avviene l’intervista con Anca, nel finale del film. Non esistono riferimenti spaziali ma nemmeno etici e non esistono coordinate a cui affidarsi. L’immagine sembra annaspare, girare su se stessa come la lancetta di una bussola che ha smarrito la propria direzione. E come lei anche chi ne è partecipe, a partire dai personaggi fino ad arrivare a noi che guardiamo.

Ma è proprio dentro questa incertezza – che la consonanza fra pensiero e linguaggio veicola e ribadisce – che il film agisce e si snoda. Ovvero dentro l’inesplicabilità dell’immagine. Testo e materia producono concetto nel momento stesso in cui si allontanano dalla ricerca e definizione di una verità. Ed è con questa mancanza di verità che il film ci chiede di fare i conti.

Perché quello che Sitaru ci spinge a trovare non è tanto un senso rispetto a quello che vediamo, ma piuttosto una prospettiva. Anche se difficile da mettere a fuoco.

Fixeur
Romania, Francia, 2016, 98'
Titolo originale:
Fixeur
Regia:
Adrian Sitaru
Sceneggiatura:
Adrian Sitaru, Claudia Silisteanu
Fotografia:
Adrian Silisteanu
Montaggio:
Mircea Olteanu
Musica:
Ioan Filip Dan-Stefan Rucareanu
Cast:
Adrian Titieni, Diana Spa?ta?rescu, Mehdi Nebbou, Nicolas Wanczycki, Tudor Aaron Istodor
Produzione:
4 Proof Film
Distribuzione:
Lab 80 Film in collaborazione con Bergamo Film Meeting

Radu, giovane giornalista ambizioso, lavora come praticante in una redazione. Quando si presenta il caso di uno scandalo internazionale che coinvolge due prostitute minorenni, sente che potrebbe essere l'occasione per dimostrare il proprio valore. Viene ingaggiato come intermediario da una televisione francese, in missione in Romania in cerca dei fatti.

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