Un concentrato di immagini, un puzzle di individui; il documentario di Adele Tulli ha la forza di mostrare, in soli 60 minuti, una spassionata collezione di scene che coprono l’arco di generazioni, pur rinunciando alla gloria di un proprio apporto esplicito: la regista evita consapevolmente di interferire con i soggetti del documentario, scegliendo di mostrare in maniera fredda e obiettiva - una sorta di metodo scientifico - l’oggetto del proprio studio. Immagini chiare e lucide, talvolta riprese da vicino, primi piani per scorgerne ogni dettaglio, talvolta ampi totali per rappresentare le più stravaganti dinamiche di gruppo; in ogni caso inquadrature lunghe, dilatate, flemmatiche, in un movimento tutt’altro che cadenzato.
Normal vuole rappresentare gli stereotipi legati ai ruoli di genere che nel nostro paese ancora sussistono, e che condizionano sin dall’infanzia la nostra percezione della realtà, nonché le nostre identità e i rapporti interpersonali.
La prospettiva adottata ha un effetto straniante, a tratti sconcertante, rimanendo impassibilmente muta anche quando lo spettatore, davanti al grottesco di certe sequenze, sentirebbe necessaria la presenza di una mediazione. D’altra parte l’arte documentaria sarebbe per definizione questa: null’altro che autenticità, realtà pura, rigorosamente osservata dall’esterno. È proprio questo, la scelta di rendere il materiale, accuratamente selezionato, nella sua spontaneità, a dare al film un senso di perturbante, tutt’altro che normale, ed è il motivo per cui il titolo risulta così scomodo.
Come quello che vediamo sullo schermo, quasi nulla è realmente normale, il più appare innaturale - talvolta sembra fittizio, sfiorando il tragicomico - almeno a un occhio esterno, quello di spettatori evoluti, persone coscienti ed effettivamente presenti nel nostro qui-e-ora.
Sconcertanti sono certe immagini, ma sconcertante è innanzitutto la consapevolezza che quello, da qualche parte, ancora oggi, è ritenuto normale, dogmaticamente accettato come prassi.
Tutto è giocato su questo scontro di prospettive ossimoriche, immagini che stridono con il punto di vista così calmo e razionale della videocamera. E che stridono tra loro: accanto a visioni retrograde, figlie di una percezione arretrata e misogina, è accennata qualche immagine di tenerezza, come gli ultimi frammenti prima del titolo finale. Come a dire che, guardando avanti, forse, si può scorgere la speranza di un cambiamento. Quella speranza rappresentata dalle riprese delle future mamme che incorniciano il film, in grembo la generazione che verrà; la speranza dipinta da un matrimonio “alla pari”, che così tanto urta con l’assurda lezione offerta alle giovani spose su come fare la brava moglie sottomettendosi ai comodi del marito.
Normal è capace di veicolare, in uno spazio-tempo circoscritto, le contraddizioni di una tradizione, di una cultura estremamente anacronistica e tuttavia ancora prevalente nel nostro paese. Un paese a tratti troppo autocelebrativo, vantando ricchezze inestimabili, il cui culto del passato ancora oggi ammette e accetta, muto come la prospettiva del documentario, una staticità culturale e sociale, una resistenza all’adattamento verso il presente, il nuovo normale.
Quali sono i rituali, i desideri, i comportamenti legati al genere e alla sessualità? I gesti e i ruoli che spesso senza accorgercene condizionano le nostre identità? Normal è un viaggio tra le dinamiche di genere nell’Italia di oggi, raccontate attraverso un mosaico di scene di vita quotidiana dal forte impatto visivo, dall’infanzia all’età adulta. Un caleidoscopio di situazioni di volta in volta curiose, tenere, grottesche, misteriose, legate dal racconto di quella che siamo soliti chiamare normalità, mostrata però da angoli e visuali spiazzanti. Con uno sguardo insieme intimo ed estraniante, il film esplora la messa in scena collettiva dell’universo maschile e femminile, proponendo una riflessione – lucida, e provvista di ironia – sull’impatto che ha sulle nostre vite la costruzione sociale dei generi. Per cercare un nuovo significato a quella che ogni giorno e spesso senza troppo pensiero (e cuore) definiamo normalità.