Valerio Mastandrea

Ride

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Ride, il primo lungometraggio da regista di Valerio Mastandrea, scritto a quattro mani insieme a Enrico Audenino (Maicol Jecson), muove da un tema particolarmente sensibile e attuale: le morti bianche. Pur rimanendo centrale lungo tutto l’arco narrativo del film, però, non è quello che sembra veramente interessare ai due autori.

Il povero Mauro Secondari, impiegato in una fabbrica, è scomparso sì anzi tempo a causa di un incidente sul posto di lavoro, ma non è un dettaglio così fondamentale se poi l’attenzione è tutta rivolta a riflettere sugli stati d’animo, le reazioni e le trasformazioni che la morte di qualcuno, a prescindere dal contesto in cui si verifica, suscita in chi resta – che sono coloro ai quali il film è dedicato.

Lo dimostra il fatto che il film si concentri esclusivamente sul racconto delle 24 ore che precedono il funerale della vittima; che Scandariato, a parte un momento simbolico nel finale in cui lo vediamo per la prima e unica volta in carne e ossa, viva solo nelle parole e nei ricordi degli altri personaggi; e che di lui – dettaglio solo apparentemente insignificante, chissà se voluto o involontario – non esistano immagini fotografiche, soprattutto all’interno dell’appartamento dove il film si svolge quasi interamente e dove, al contrario, si intravedono quelle di Carolina (sua moglie) e di Bruno (suo figlio).

Ecco allora che, più che un film di denuncia sociale, Ride sia e funzioni meglio come un’esplorazione nostalgica, in chiave intimistica e a tratti surreale, dei sentimenti umani e del rapporto che i viventi hanno nei confronti della morte, intesa come esperienza ineluttabile con cui chiunque, prima o poi, è chiamato a confrontarsi.

Mastandrea lo fa con i toni leggeri e agrodolci della commedia, attraverso la serie variopinta e grottesca di personaggi che gravitano intorno a Carolina (Chiara Martegiani). È lei a cui il titolo del film si riferisce. Mentre tutti gli altri, dal fratello delinquente (Stefano Dionisi) al suo primo amore degli anni di scuola, si struggono, Caterina, l’unica probabilmente ad avere tutte le buone ragioni per piangerlo, non riesce a versare una lacrima. Anzi, come lei stessa ammette, cercando di dare un senso alla propria reazione emotiva, da quando è avvenuta la tragedia sta benissimo, nonostante il suo diritto e dovere a stare male.

Poi trovano posto anche il discorso politico e gli ideali sui diritti dei lavoratori, con la mobilitazione dei colleghi della fabbrica e il cordoglio dei vecchi compagni sindacalisti del padre della vittima, interpretato da Renato Carpentieri. Ma è un aspetto del film, questo, che sembra appartenere a un’altra storia, a un altro contesto, come si evince anche da alcuni dialoghi che suonano come delle forzature: quello sugli ultimi istanti di vita delle vongole, per esempio, o quando Dionisi, pistola in pugno, minaccia il padre rivoluzionario dicendogli: «Ma sta guerra, quando la vincete che mi pare che a morire siate solo voi?»

È un film dalla doppia anima, Ride, che probabilmente non fa altro che rispecchiare quelle di Mastandrea e Audenino. Due visioni, una più politica e una più esistenziale, che danno l’impressione di essersi trovate e aver saputo dialogare in armonia, ma non sono riuscite a fondersi del tutto, incerte su quale dei due mondi far emergere. Finendo per lasciare così un senso di spaesamento generale, alimentato dal dubbio che forse potesse esserci ancora dell’altro da dire.

Ride
Italia, 2018, 90'
Regia:
Valerio Mastandrea
Sceneggiatura:
Enrico Audenino, Valerio Mastandrea
Fotografia:
Andrea Fastella
Montaggio:
Mauro Bonanni
Musica:
Emiliano Di Meo, Riccardo Sinigallia
Cast:
Arturo Marchetti, Chiara Martegiani, Mattia Stramazzi, Milena Vukotic, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi
Produzione:
Kimerafilm, Rai CInema
Distribuzione:
01 Distribution

Una domenica di maggio, a casa di Carolina si contano le ore. Il giorno successivo bisognerà aderire pubblicamente alla commozione collettiva che ha travolto una piccola comunità sul mare: se n’è andato Mauro Secondari, un giovane operaio caduto in fabbrica. E da quando è successo la sua compagna Carolina è rimasta sola, con un figlio di dieci anni, e con una fatica immensa a sprofondare nella disperazione per la perdita dell’amore della sua vita. Perché non riesce a piangere? Perché non impazzisce dal dolore? Manca un giorno solo al funerale e tutti si aspettano una giovane vedova devastata. Carolina non può e non deve deludere nessuno, soprattutto se stessa.

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