«Quand'è che ti ho detto che ti amo?». Risponde così il detective Hae-jun a Seo-rae, che gli ricorda le sue parole. Di origini cinesi ma da anni in Corea, Seo-rae è sospettata di omicidio due volte, a distanza di mesi e di geografia (prima a Busan, poi a Ipo). Ma il sospetto, come in ogni noir che si rispetti, produce attrazione. Hae-jun però non le ha mai detto «Ti amo». Non gliel'ha mai detto così. Seo-rae l'ha comunque inteso da altre parole. Da altre frasi. Lei da subito, dall'inizio delle indagini, si premura di giustificarsi con il poliziotto ammettendo di non parlare bene il coreano. Ma Hae-jun, dopo alcune battute, non ha dubbi: «Lei parla il coreano meglio di me». Chi ha detto cosa, dunque? E perché Seo-rae è convinta che Hae-jun la ami? O è soltanto una trappola architettata dall'ennesima femme fatale?
Pensateci. L'amore è una proiezione fonetica. Tutto Decision to Leave, il nuovo capolavoro di Park Chan-wook, è cadenzato da una grammatica che non è mai ciò che dice di essere. E che allude, implica, devia dal tracciato, costringe alla traduzione, rimanda. Le immagini sono formate e illustrate da sinonimi, Siri, translate, da interrogativi linguistici.
Tanto che perfino il genere, in questo neo-noir che sembra Basic Instinct ma come lo potrebbe (ri)fare Pedro Almodóvar, con un tempo quasi da flamenco e un mystery acceso di mélo e poi subito raffreddato, viene smontato in una rete di suoni plurivoci. E allora il cliché non è mai tale, lo stereotipo insinua altro, il dialogo a effetto si apre ad altri significati, altri mondi. Perciò non sono soltanto le immagini a essere determinate da una costruzione a fonemi polivalenti. A finire travolte da quest'ultimi sono anche le emozioni, i sentimenti. La realtà si ferma allibita e si rilancia ad ogni nuovo senso, il noir precipita, i soggetti non credono più a niente perché credono a tutto, in quanto tutto – ogni battuta, ogni vocabolo, ogni messaggio sul telefonino – ha un valore relativo.
Non ci sono assoluti, in questo film. C'è al contrario la sensazione costante di provvisorietà, che specifica ruoli e lingua, spazi e espressioni. Per questo motivo Seo-rae rivendica la decisione di lasciare, cioè di abbandonare, di partire, di rinunciare: perché qualunque vestito si voglia fare indossare alla passione, si tratta sempre e comunque di una chimera. Scegliere di allontanarsi, allora, è l'atto estremo per ritrovarsi, o quanto meno per ritrovare una propria definizione: in uno scenario e in relazioni dove l'identità fonologica è passeggera, come si fa a credere? come si fa a credere a sé? come si fa a credere al cuore?