Seppur lo spunto narrativo di base sia identico a quello adottato dai fratelli Coen nel loro Ave, Cesare!, Saving Mr. Wu racconta del rapimento di una delle star cinematografiche cinesi più famose con il solo scopo di confezionare un film d’azione dallo scheletro classico e consolidato. Sono infatti poche le sorprese che l’opera di Ding Sheng riserva allo spettatore, essendo questi più interessato a proporre una rilettura più audace del paradigma cinematografico di riferimento senza addentrarsi in discorsi più complessi.
Andy Lau interpreta la star rapita, ma è chiaro sin dai primissimi minuti che al posto di uno spaventato attore cinematografico, il suo personaggio sembri piuttosto un classico eroe senza macchia capace di tenere testa al più temibile dei farabutti senza perdersi mai d’animo. Saving Mr. Wu infatti non teme di cadere nei cliché più scontati, semplicemente prova a ridefinire un impianto narrativo lineare e consolidato (quale quello che prevede il salvataggio dell’ultimo minuto) per adattarlo all’estetica contemporanea.
Proprio su questa componente, però, Ding Sheng mostra tutti i suoi limiti. Non è infatti sufficiente scomporre l’intero racconto in tante sequenze per poi riordinarle in maniera sparsa e cronologicamente non lineare per attirare l’attenzione dello spettatore e farlo sentire più a suo agio visti i canoni estetici di moda oggi. Sicuramente più interessante e filologica è la scelta di dilatare i tempi (di inquadratura e di montaggio) sul finale, ovvero proprio là dove il cinema classico aveva insegnato a renderli più serrati e concitati per creare tensione e aumentare la suspense.
Privo di qualsivoglia sottotrama o chiave di lettura nascosta ma palpabile, il film non presenta evidenti difetti di messa in scena ma in fin dei conti risulta più vacuo del previsto, lasciando abbastanza indifferenti a fine visione. L’attore viene rapito, lo spettatore un po’ meno.