Presentato al Far East Film Festival come il più grande film coreano del 2015, Assassination di Choi Dong-hoon ha scaldato la platea del Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Un vero e proprio colossal che, come altre pellicole presenti quest’anno alla rassegna dedicata alle cinematografie asiatiche più importanti, concentra le proprie attenzioni su un periodo storico di sicuro fascino ma fin qui un po’ trascurato.
L’occupazione giapponese della corea, un vero e proprio tabù in patria, è lo scenario ideale per un gangster movie ad alto budget e caratterizzato da un variopinto cast di volti noti. Un film corale capace di alternare al proprio interno dei riusciti momenti di humor, delle sparatorie fracassone e spettacolari, continui richiami persino allo spaghetti western e un solido impianto visivo.
Il tutto collegato da un plot estremamente semplice: nella Corea di inizio secolo il tentativo da parte dei ribelli di uccidere in un attentato il Governatore Generale (la figura politica giapponese che governava) fallì miseramente. Ciò nonostante, diversi anni dopo, lo stesso combattente indipendentista viene richiamato per tentare un analogo assassinio. Questa volta però, il protagonista deciderà di circondarsi da esperti personaggi molto diversi tra loro.
Una sporca dozzina di manigoldi impegnati a sparare a tutto ciò che si muove. C’è altro? Purtroppo no, e proprio per questo lo spettatore potrebbe storcere il naso a causa della quasi totale mancanza di guizzi e dalla lunghezza eccessiva (130 minuti totali sono effettivamente troppi). Ma resta tutto il fascino di un progetto tanto patinato quanto ambizioso, tanto mastodontico nel muoversi quanto leggerissimo nel raccontare.