Anche su Austerlitz del regista ucraino Sergei Loznitsa Cineforum si è già soffermata ai tempi del passaggio all'ultima Mostra di Venezia. Ora che il film è uscito nelle sale (o meglio, in alcune sale italiane) e Loznitsa è giunto in Italia per un tour promozionale, abbiamo deciso di tornare sull'argomento con tre interventi.
La recensione di Luca Malavasi
L’ora e mezza di Austerlitz è collocata esattamente tra questi due tipi di filo spinato, tra lo sguardo – inevitabilmente spettrale – di una barbarie passata e lo sguardo “culturale” di chi oggi visita il Campo – il Campo che deve mentire per dire la verità, semplificare per far capire, essere didattico e accogliente per costituirsi come “luogo della memoria”. La frizione tra una cultura e l’altra (perché anche la barbarie lievita da una certa cultura) prende a poco a poco la forma di una (altrettanto inevitabile) profanazione, e Loznitsa ha perfettamente ragione a interpretare lo sguardo del Luogo e delle Cose come fisso, e cioè prigioniero della sua stessa posizione, quasi carcerario – una specie di videosorveglianza della Storia.
La recensione di Lorenzo Rossi, che riprendiamo dalla Mostra di Venezia:
Ogni inquadratura costruisce e determina uno spazio, ogni prospettiva si fa dialettica e si dimostra capace di produrre senso (all’interno del totale non-senso). Il posizionamento a distanza, la frontalità e la presenza di una macchina che sta nascosta alla vista di chi le è di fronte (sono poche le volte nelle quali registriamo un sguardo in camera o in cui qualcuno dimostra di avvertire la presenza dell’operatore) ricordano le vedute dei fratelli Lumiére – il finale con l’uscita dei visitatori dal cancello del campo che reca la scritta “Arbeit Macht Frei” rievoca La Sortie de l'usine Lumière. Ed è proprio sullo stile essenziale dei due inventori del cinema che è modulata l’intera operazione di Austerlitz.
Un'intervista a Loznitsa di Clara Miranda Scherffig, già precedentemente apparta in inglese sulla rivista Fandor:
Non è un compito facile aprire un film su un campo di concentramento. Ho deciso di farlo mostrando innanzitutto l'architettura, con brevi aggiunte di spazi aperti. Non volevo mostrare tutto subito, ma l'ho fatto passo per passo. Ci tenevo molto a una sequenza d'apertura priva di testi [vediamo solo un gruppo di persone che ascolta le proprie audioguide, in un brusio confuso]. Volevo che l'inizio fosse pieno di persone, ma non volevo che il pubblico riuscisse a sentire alcuna frase in particolare. Altrimenti, sai, inizi immediatamente a leggere i sottotitoli. Io propongo non di ascoltare, ma di guardare. La prima volta che vediamo i sottotitoli sono passati già quindici o venti minuti dall'inizio del film. E poi volevo anche mostrare i diversi stadi emozionali.